Desideri per il 2023 della Valle d’Aosta? Uno solo, ma ci riguarda tutti…

Dati alla mano, il 2022 è stato un anno che in Valle d’Aosta ha significato più cronaca nera che giudiziaria. Non è un dato che stupisca: i processi nati dalle indagini su politica, amministrazione e affini, di cui negli scorsi anni molto si è scritto e detto, hanno superato ampiamente il primo grado di giudizio e quindi il loro cammino è proseguito lontano dalla regione: non si sono affievoliti solo nell’attualità.

Qualcuno obietterà che, di contro, nemmeno ne sono iniziati di nuovi. Non è esattamente così. Dei fascicoli per approfondire alcune attività pubbliche – vedi la trattativa per la compravendita del Castello di Introd, o la prima assegnazione (poi revocata) del “Bando Borghi” milionario al comune di Fontainemore – sono stati aperti. Si sono chiusi senza raggiungere consistenza di reato, ma non significa che il “sistema giustizia” abbia abdicato alla sua funzione.

Peraltro, tra le inchieste recenti, ancora non approdate ad un aula di Tribunale (ma prossime a farlo), ve ne sono di riguardanti dei pubblici funzionari, confrontati anche ad addebiti di natura corruttiva o alla percezione indebita di contributi. Senza dimenticare poi che anche sulla Valle si sono riverberate “emergenze” nazionali, come gli incidenti sul lavoro, o i crescenti episodi da “codice rosso” (maltrattamenti familiari e violenze, su tutti).

Insomma, pur non avendo “grandi casi” su cui ragionare (ammesso poi che ciò interessi davvero, visto l’approccio da tifoseria mediamente riservato dall’opinione pubblica alle cose di giustizia), non è implicito che la nostra regione si sia trasformata in un novello Eden. Né che le autorità inquirenti siano state colpite da letargia. Entrambe sono letture estreme del momento e, in quanto tali, da rifuggire.

Nell’esercizio propositivo che storicamente vogliono rappresentare le ultime righe di un anno su questo blog, non sarebbe male usare questa fase per esercitarsi in una materia con cui, purtroppo, la Valle d’Aosta e la comunità che la abita non hanno manifestato particolare dimestichezza. Anzi, nel parallelismo con degli studenti, hanno mostrato un discreto bisogno di ripetizioni.

Mi riferisco alla capacità di discernere tra responsabilità penali e fatti non di reato, ma tutt’altro che impregnati di etica o di opportunità (specie se afferenti alla sfera pubblica). In questo, anche alle nostre latitudini si applica purtroppo la formula ampiamente ricorrente nel resto d’Italia: “non c’è reato, quindi si può fare”. Si potrebbe discettare su quanto tale stato delle cose sia il frutto di venticinque anni di videocrazia, ma non è tema per queste pagine.

Dal punto di vista giuridico, l’equazione che ormai scatta automatica nell’opinione pubblica ogni volta che un giudice decide per la non colpevolezza in procedimenti che coinvolgano politici o dirigenti, non fa una piega. Dal punto di vista pratico, molte più di una. Triste è quel luogo dove l’unico metro di giudizio – per le questioni che riguardano le scelte e l’opera di amministratori, o di enti – è rappresentato dall’integrazione, o meno, di delitti. Non solo triste, ci sta pure aggiungergli sciagurato.

Emblematico è, a tal proposito, il caso dell’archiviazione dell’inchiesta “Egomnia” della Dda di Torino, sul presunto condizionamento delle elezioni regionali 2018 da parte della ‘ndrangheta. Tale esito è stato salutato dalla politica (che pure qualche argomento fondato lo avrebbe avuto nei tempi di evoluzione dell’indagine) come sinonimo di “non è accaduto niente”, quasi facendolo equivalere ad una assoluzione in sede processuale. Non una medaglia di rettitudine da appuntarsi al petto, ma poco ci è mancato.

Chiunque abbia letto (con occhio non interessato) le motivazioni per cui il sostituto procuratore Valerio Longi ha chiesto al Gip del Tribunale torinese di archiviare il fascicolo sa che così non è. Sa che per l’antimafia piemontese il condizionamento c’è stato. Eccome. Chi governa la Valle d’Aosta, ma anche chi siede all’opposizione, non può fingere che non esistano dei piani di etica e di opportunità cui l’agire pubblico deve ugualmente rispondere, oltre alla legge.

Da questo punto di vista, sono e resto persuaso che il Consiglio Valle abbia perso un’occasione di chiarezza e trasparenza, respingendo la richiesta di avviare una riflessione sull’archiviazione dell’inchiesta. Non entro nel merito delle ragioni addotte (però la seduta merita di essere guardata), mi limito al dato oggettivo che tale occasione ha palesato: di infiltrazione mafiosa le istituzioni valdostane, ufficialmente, non vogliono parlare.

E’ un male. Non solo perché confligge con la capacità di discernere la responsabilità penale dall’opportunità e dall’etica, ma anche perché – com’è stato in altri momenti di difficoltà attraversati dalla Valle (vedi alluvione del 2000) – se non ne parli, non metabolizzi un fenomeno, non lo superi e, nel caso dell’infiltrazione criminale, nemmeno sviluppi i tanto sventolati anticorpi utili ad evitare che si ripeta. Inoltre, se non sei in grado di mostrare in prima persona una capacità, men che meno sarai d’esempio per la comunità che ti sei candidato a guidare.

Anche per questo, aggrappandomi all’idea di funzione sociale nella professione giornalistica, nel 2022 che ha visto l’intitolazione del palazzo di giustizia di Aosta al magistrato Giovanni Selis non ho detto “no” al coinvolgimento in alcune occasioni di dibattito e incontro pubblici. Ha avuto particolare risonanza quella che, a Saint-Christophe, ha avuto per protagonista l’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, ma anche le serate sui beni confiscati al crimine organizzato e sulla storia delle mafie in Valle sono state foriere di vari spunti di riflessione. Anche perché hanno ribadito l’esistenza di entità della “società civile”, in Valle mediamente silente, desiderose di porsi delle domande, al di là di quanto scomode siano.

La verità è che un politico può agire senza commettere reati, ma al tempo stesso anche tradendo il mandato affidatogli dagli elettori. Ecco, se un augurio va formulato per l’anno nuovo, è uno solo, ma ci riguarda tutti: il germogliare in Valle d’Aosta della comprensione di questo assunto, di cui etica ed opportunità sono variabili a pieno titolo, con un conseguente incremento della capacità collettiva – da manifestare nel momento elettorale – di riporre la fiducia del voto esclusivamente in chi dimostri di esserne meritevole da questo punto di vista.

Di selezionare chi ha un problema anche solo ad affrontare un argomento da chi parte dal presupposto che l’esistenza di temi “tabù” sia già sintomatica di un problema. Di smascherare uno storytelling istituzionale, favorito dalle dimensioni modeste del contesto regionale, imperniato su negazione e rimozione, spesso strumentalizzando esiti giudiziari retti da altri presupposti (capacità da sviluppare specie in vista dell’approdo in Cassazione, nei primi mesi del 2023, del processo “Geenna”). E continuare a parlare di tutto ciò (questo blog, anche se meno assiduo di un tempo nell’aggiornamento, resterà un luogo dove farlo) sarà soltanto un bene.

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