Infiltrazione mafiosa in Valle, tra delusioni e inversioni di tendenza

Dell’intitolazione di Palazzo di giustizia al magistrato Giovanni Selis ho già scritto ed è stato solo il primo appuntamento di una settimana “piena” rispetto all’agenda abituale. Non sono qualcuno dalla frenetica attività sul fronte di conferenze o presenze pubbliche. Un po’ per carattere, un po’ perché affido più volentieri i miei pensieri alla forma scritta.

Però, oltre ad essere convinto che nel mestiere del giornalista ci sia anche una funzione sociale (alla quale non sarebbe giusto, e forse pure egoista, sottrarsi), continuo a ritenere che il solo modo di porsi dinanzi a determinati argomenti sia non smettere di parlarne. Il silenzio è l’errore commesso troppo spesso in passato, in Valle d’Aosta.

Così, quando si è presentata l’opportunità di moderare due appuntamenti, in questi giorni, riguardanti il crimine organizzato, non ho esitato nel “sì”. Mercoledì, a Palazzo regionale, abbiamo parlato di beni confiscati alle mafie, con Libera Valle d’Aosta che ha portato testimonianze di riuso sociale in altre realtà, italiane e non solo, ma soprattutto con i sindaci valdostani Fabrizio Bertholin e Michel Savin, che hanno ripercorso l’aspetto emotivo e politico-amministrativo dell’impattare di un bene confiscato sul proprio territorio.

Quest’oggi, invece, da una collaborazione tra Cgil Valle d’Aosta e Libera è scaturito il dibattito su “La storia della mafia in Valle d’Aosta tra documenti, cronaca e rimozioni”. Un paio d’ore in cui, tra l’altro, ho raccontato l’inchiesta “Geenna”, la prima contestazione giudiziaria d’infiltrazione di ‘ndrangheta di sempre nella nostra regione.

Al di là degli arresti, dei processi e delle sentenze, però, esco da queste due occasioni d’incontro rafforzato nella convinzione che la mafia sia un problema, anzitutto, culturale. L’azione penale è mirata ad accertare responsabilità individuali, mentre le organizzazioni criminali si sconfiggono restituendo alla legalità gli spazi in cui esse s’insinuano, sostituendosi alla democrazia, per questo la risposta può e deve arrivare anche dalla collettività, più precisamente dal nostro quotidiano.

Da questo punto di vista, non posso che manifestare delusione per un pubblico meno numeroso delle aspettative nel primo caso, con un’assenza rappresentata in particolare dagli amministratori pubblici, soprattutto quelli degli enti locali. La stessa “Geenna” – con il primo commissariamento di sempre di un Comune valdostano – c’insegna che il primo organismo aggredito dalle cellule metastatiche mafiose è quello dei Municipi. Per questo, chi vi opera ogni giorno non può che alzare la guardia.

L’indifferenza è un errore, ma anche un problema, che in casi del genere può portare pure a conseguenze più gravi. Tornando al fatto che la mafia presupponga una risposta collettiva, e culturale, lasciatemi esprimere piacevole sorpresa per due conoscenze fatte in questi incontri. Joselle Dagnes è una professoressa associata in sociologia economica all’Università di Torino, intervenuta sull’infiltrazione mafiosa in Valle negli ultimi dieci anni.

Beatrice Caddeo, invece, che abbiamo sentito oggi, è dottoressa in Scienze storiche all’Università di Milano (dove ha scelto di andare perché voleva discutere la tesi con il professor Nando Dalla Chiesa) e alla laurea è arrivata nell’estate 2021 analizzando “Il processo d’insediamento della ‘ndrangheta in Valle d’Aosta”.

Ebbene, non solo penso che sia un bel segnale d’inversione di tendenza che inizino ad esserci persone giovani che non solo non temano di parlare di fenomeni del genere, ma siano anche determinate a studiarli a livello accademico. Inoltre, nei loro interventi ho trovato un “fil rouge” che ad oggi era rimasto sullo sfondo. Alcuni meccanismi fondamentali dell’Autonomia valdostana (vedi riparto fiscale del 1981) hanno garantito risorse finanziarie importanti, con criteri di attribuzione e gestione diversi da altre realtà italiane.

Oggi siamo in grado di leggere che quel flusso economico, sin dalla fine degli anni ‘70, ha attratto le organizzazioni criminali (ed è singolare che questa riflessione arrivi nella settimana in cui ho parlato di risorse finanziarie con il professor Roberto Louvin). Vuoi perché era consistente, vuoi perché in Valle si sarebbero mosse in un contesto di discrezione sociale che ha consentito la mimetizzazione e l’intreccio di relazioni sociali funzionali a restare coperte. La classe politica che s’incaricherà di scrivere la versione 2.0 dell’Autonomia valdostana (ed è la storia a renderla necessaria) non potrà non tenerne conto.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...