Il Palazzo di giustizia di Aosta intitolato al magistrato Selis: una conquista democratica

Sarà una sensazione personale, ma tra tutti gli interventi sentiti oggi all’intitolazione del Palazzo di giustizia di Aosta alla memoria del pretore Giovanni Selis (qui, la cronaca su Aostasera), chi ha veramente centrato il bersaglio è stato l’ex procuratore della Repubblica (prima a Palermo, poi a Torino) Gian Carlo Caselli. La mafia, per non essere percepita quando s’infiltra al di fuori dei suoi territori di elezione, arriva non solo a mimetizzarsi, ma anche “ad ibridarsi, coperta da una rete relazionale”. Quando colpisce simboli delle Istituzioni, come avvenne il 13 gennaio 1982 con il primo magistrato in Italia ad essere al centro di un attentato, lo fa perché vede a rischio quella copertura, frutto di “guasti nei rapporti sociali”, mettendo nel mirino chi “tenta di riportarli in un alveo di correttezza”.

Ecco, in Valle d’Aosta il problema prima ancora che di crimini, inizia con dinamiche interpersonali che rischiano di introdurre distorsioni nell’equilibrio del vivere ispirato al bene collettivo. Il Sindaco e l’imprenditore affidatario di un servizio appaltato dal Municipio che cenano assieme non integrano necessariamente un reato, ma rappresentano indubbiamente un momento inopportuno, che cala entrambi in una potenziale “zona grigia”, dove la possibilità di condizionamenti reciproci (voluti o, peggio, auto-indotti) è questione di attimi. Lo stesso vale per il subalterno di un dirigente pubblico, il cui congiunto affitti al manager un garage, o una proprietà (e non, per forza, ad un prezzo di favore).

Sono solo due esempi, ma tanti altri se ne potrebbero fare, in una terra abitata da poche anime e, per un’elevata percentuale, dipendenti di un’amministrazione locale, o di una società della variopinta galassia di partecipate e controllate dalla Regione. Il fenomeno non costituisce un rischio solo per ciò che può accadere nel merito di ogni singolo episodio, in “camere caritatis” sottratte ad ogni controllo di legalità. Lo è anche perché diffonde, nell’ambiente circostante, l’erronea percezione che un’ordine sociale imbastito su un intreccio relazionale del genere sia corretto e normale. Una comunità che si plasma su dinamiche simili, difficilmente sviluppa gli anticorpi utili a riconoscere il mimetismo delle organizzazioni criminali di cui ha parlato oggi Caselli.

Dai racconti di chi lo ha conosciuto, è evidente che Giovanni Selis avesse intuito il problema, assieme al suo deflagrante potenziale di prostituire la funzione pubblica a scapito dell’interesse privato, devastando un luogo ricco in bellezze ed unicità paesaggistiche. Non a caso aveva rivolto il suo sguardo inquirente sugli ambiti ove i fiori del male trovano terreno fertile: gli abusi edilizi (e non parliamo della finestra di un alloggio non prevista al Catasto, ma di operazioni immobiliari in siti di rilevanza turistica), la tutela ambientale (guardando a realtà aziendali che, per la media dei valdostani, erano produttive e basta) e, terreno sdrucciolevole ancor oggi, la Casa da gioco di Saint-Vincent (in particolare, i prestasoldi e le loro “relazioni pericolose” con il Casinò stesso).

Il tragico epilogo della sua vita ci dice quanto il problema resti irrisolto (e chissà se risolvibile). Però, che da oggi esista ad Aosta un luogo che palesa e perpetua l’esempio di qualcuno riuscito a non abbandonarsi ad un contesto avvolgente e socialmente tentacolare è un gran bene. Di più, una conquista democratica. La targa che è impossibile non vedere passando in via Ollietti, e che Libera Valle d’Aosta ha insistito per avere, ci ricorda sia il nocciolo della questione in Valle, sia che – come ben ha detto il presidente del Tribunale, Eugenio Gramola – l’avere “una cosa pubblica svincolata da influenze mafiose, o comunque scorrette” è un ideale per tutti i valdostani onesti, prima ancora che un traguardo cui tendere.

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