Quando il Revenge Porn viene commesso dall’adulto…

Parlando di “Revenge porn”, nei casi che coinvolgono giovani e giovanissimi, si pone dominante un tema di educazione digitale. Un adolescente che riceve un’immagine o un video intimi da un/a coetaneo/a (e ci dobbiamo anche convincere che, se quella è la stagione della vita in cui per antonomasia avviene la scoperta di sé e del prossimo, smartphone e pc sono gli strumenti che oggi la accompagnano) ha davvero chiaro che – per fare un esempio – se la inoltra nella chat della sua “compagnia” commette un reato, dalle conseguenze (di sofferenza indotta ed economiche) tali da far sì che raramente la vita possa tornare alla normalità?

Il punto va affrontato, indubbiamente. La difficoltà degli adulti, a mio avviso, sta tutta nella difficoltà di trovare la formula per far arrivare il messaggio in maniera nitida a ragazze e ragazzi. E’ pacifico, comunque, che il primo piano d’azione debba essere quello culturale, ma la declinazione non è affatto banale, tanto che ad oggi, ad occhio, non è stata ancora raggiunta quella efficace (le lezioni frontali e le sensibilizzazioni nelle scuole ci sono, e da anni, ma non sembrano scaturire gli effetti sperati). Che dire, invece, se il reato viene imputato ad un adulto?

Impossibile liquidare, per quanto la generazione dei cinquantenni di oggi non sia fatta di nativi digitali, la questione con l’ignoranza in campo informatico. Si può non padroneggiare un dispositivo, ma è lecito, in questo caso, aspettarsi un livello di consapevolezza ben diverso da un adolescente, o dintorni. Nel caso giunto a sentenza ieri al Tribunale di Aosta (ne ho scritto su Aostasera), il primo a quanto dicono le cronache, si aggiunge oltretutto un altro interrogativo, per quanto il verdetto non sia definitivo, perché di primo grado. Si può davvero pensare di recuperare un rapporto compiendo un atto che, sin dalle sue premesse, è antitetico a qualsiasi finalità costruttiva?

Anche in questo caso, il terreno della partita è squisitamente culturale. Finché immagini e video “hot” arrivano sul telefono del partner durante la relazione, chi le inoltra è degna/o della massima ammirazione, poi quando l’idillio si conclude diventano armi da usare per lavare via l’“onta” dell’essere stati lasciati? E’ una visione abietta, non fosse altro perché maturità imporrebbe che, voltata una pagina, indipendentemente dall’essere stata di sola attrazione fisica, o anche sentimentale, non ci si torni più e che i ricordi (multimediali inclusi) restassero chiusi nel cassetto della vita vissuta, belli o meno che siano. Eppoi, perché un fallimento relazionale non è mai unilaterale. Forse, anche tra persone entrate da tempo negli “anta”, però, bisognerebbe parlarne di più, specie da quando abbiamo elevato gli smartphone a “scatole nere” delle nostre esistenze.

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