
Sugli sviluppi del processo, al Tribunale di Aosta, nei confronti della parlamentare accusata di rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale, oltraggio e minaccia ad un militare della Guardia di finanza, per fatti risalenti al periodo dell’emergenza Covid-19 in cui la Valle d’Aosta era “zona rossa”, la domanda che diventa difficile trattenere è soprattutto una.
La prima udienza si era tenuta lo scorso 4 febbraio e, nel mentre, se ne sono succedute altre tre, utilizzate tra l’altro per sentire una decina di testimoni. Come ogni procedimento penale, tutto ciò ha comportato un costo (cui concorrono molteplici voci, dal personale coinvolto, alla notifica degli atti, passando per i supporti usati per registrare, ecc…). Ebbene, l’altro ieri, martedì 7 giugno, il processo è stato sospeso. Il difensore dell’imputata ha sollevato l’insindacabilità prevista dalla Costituzione a tutela delle prerogative dei membri del Parlamento e occorre quindi che la Camera si pronunci sull’autorizzazione a procedere nei confronti dell’onorevole.
Se il voto di Montecitorio dovesse essere contrario, cancellando quindi il cammino processuale compiuto sinora, a qualcuno verrà chiesto di rifondere quel costo, prelevato dalle tasche della comunità? La domanda è retorica, perché la risposta è nota da prima di porla: “no”. Con queste righe non si vuole obiettare su quanto previsto dall’articolo 68 della Costituzione per i parlamentari. Le facoltà difensive sono un diritto ed è normale che l’avvocato della deputata giochi tutte le carte che l’ordinamento gli mette a disposizione.
Tuttavia, se il giudice ha motivato in aula il non aver sollevato dall’inizio la questione di insindacabilità con l’averla ritenuta “manifestamente infondata” (considerando l’accusa mossa nel processo non correlata all’esercizio del mandato parlamentare), il difensore dell’imputata non ha spiegato (non vi era tenuto, peraltro) perché sia arrivato solo ieri a questo passo, dato temporale che dà forma ad una domanda molto meno retorica di quella avanzata nelle righe precedenti.
Non è un interrogativo indifferente, quantomeno agli occhi dell’opinione pubblica, perché eccepire da subito l’insindacabilità (prima che il “tassametro” del procedimento raggiungesse i costi attuali) avrebbe deposto a favore dell’esercizio spontaneo di un’opzione difensiva. Così, invece, diventa difficile non pensare alle parole del pubblico ministero, che ha citato – opponendosi all’eccezione – sentenze pregresse in cui viene ribadito come tale precetto costituzionale non sia un “privilegio personale”. Certo, che occorrano dei verdetti a ricordarlo è triste, ma assai eloquente sull’Italia.