
Nato il 1° luglio 1991, ha compiuto 30 anni quest’oggi lo Squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria” dei Carabinieri (nella foto, da Wikipedia). Tale unità, con base a Vibo Valentia, ha raccolto il testimone delle Squadriglie Eliportate, dislocate nelle zone più impervie del territorio calabrese ed originariamente deputate a contrastare i sequestri di persona. I “Cacciatori”, dalla preparazione strettamente militare e tattica, sono oggi rivolti esclusivamente alla lotta al crimine organizzato. Dalla loro fondazione hanno consentito di assicurare alla giustizia circa trecento latitanti.
E’ un reparto speciale che, in Valle d’Aosta, conosceranno probabilmente solo gli appassionati di storia e organizzazione militare. In realtà, un riferimento agli avvenimenti recenti che hanno segnato la storia della nostra regione esiste. I Carabinieri dal “basco rosso” sono infatti stati utilizzati nell’operazione Geenna, per catturare, la notte del 23 gennaio 2019, uno dei diciassette destinatari delle misure cautelari disposte dal Gip del Tribunale di Torino, su richiesta della Dda. Parliamo di Bruno Nirta, 61enne ritenuto dagli inquirenti “coordinatore” della “locale” di ‘ndrangheta attivata ad Aosta e condannato, in primo grado, a 12 anni ed 8 mesi di carcere.
I “Cacciatori di Calabria” si articolano in squadre, responsabili ognuna di una propria zona d’operazione. I militari che le compongono, tutti specialisti (rocciatori, pattugliatori scelti, tiratori scelti e artificieri), conoscono ogni dettaglio dell’area cui sono assegnati. Fu la squadra competente per San Luca (comune alle falde dell’Aspromonte, dove Nirta è nato e viveva finché per lui si sono aperte le porte del carcere) ad essere impiegata. Confermarono la sua presenza in paese, capirono ove si trovava (soprattutto attraverso le competenze di ricognizione ed osservazione tattica) e garantirono che le manette scattassero ai polsi dell’uomo noto alle cronache come “la Bestia”, sia per la corporatura, sia per l’indole.
Fratello di Giuseppe (classe 1965), pluripregiudicato ucciso in Spagna l’11 giugno 2017 (che fu coinvolto nel processo “Minotauro” sull’infiltrazione di ‘ndrangheta nel torinese), e cugino di Giuseppe (classe 1952) arrestato in Valle dalla Guardia di finanza nell’aprile 2020 perché trovato in possesso di circa un chilo di eroina (vicenda per cui ha patteggiato 5 anni di carcere e 18mila euro di multa), a Bruno gli investigatori hanno sempre guardato come a un rampollo della ‘ndrina “La Maggiore”, detta anche “Scalzone”, regnante su San Luca. E’ dal monitoraggio della sua presenza in Valle nel 2014, da parte dei Carabinieri del Raggruppamento operativo del Gruppo Aosta, che prende il via l’inchiesta poi battezzata Geenna.
Al processo di primo grado, in cui scelse il rito abbreviato, parlando di sé in terza persona ricondusse quel “passaggio a nord-ovest” alla volontà di portare i “saluti natalizi ad un cugino”. Il suo difensore bollò di “assurdità in termini” la tesi d’accusa (corroborata dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Daniel Panarinfo) per cui quel viaggio tra i monti era finalizzato alla cessione di un “carico” di droga da quattro chili. Una linea che non convinse il Gup, che optò per la condanna (seppur in misura inferiore ai 20 anni di carcerazione chiesti dai pm antimafia Stefano Castellani e Valerio Longi al culmine di quasi sei ore di requisitoria).
Il prossimo 15 luglio, assieme ad altri dieci imputati che hanno impugnato le rispettive sentenze, Bruno Nirta conoscerà l’esito del processo in Corte d’Appello. Tutti gli elementi emersi risultano comunque eloquenti di come la sua cattura fosse un obiettivo imprescindibile del blitz di inizio 2019. Il suo arresto è così finito nella storia dei “Cacciatori di Calabria”, comandati dal maggiore Milo Aveni, che trova le sue pagine più importanti nell’individuazione di ‘ndranghetisti di caratura, come Umberto Bellocco (nel 1992), Giuseppe Mancuso (1997), Giuseppe Piromalli (1999), Giuseppe Barbaro (2001), Giuseppe Bellocco (2007) e Pasquale Condello (2008).
Guardando allo stesso anno in cui entrarono in azione per Nirta, oltre a essere impegnati per un’altra inchiesta a base di infiltrazione della criminalità calabrese in Valle (“Altanum”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, sulle frizioni tra la ‘ndrina Facchineri di Cittanova e la famiglia Raso-Zuccaro di San Giorgio Morgeto), spicca il contributo dello Squadrone elitrasportato nella maxi-operazione “Rinascita-Scott”, con le oltre trecento misure cautelari chieste dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Nello specifico, ai militari in basco e mimetica venne chiesto di catturare tre elementi di spicco delle famiglie di ‘ndrangheta vibonesi, inseriti nell’elenco nazionale dei 100 più pericolosi da ricercare compilato dal Ministero dell’Interno. Ci riuscirono, tenendo fede a una storia d’élite iniziata nel 1991 e scandita dal motto “Vigilantia de caelo, coercitio ex terra”.
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