Cosca Facchineri, i Carabinieri attaccano la generazione più recente della ‘ndrangheta

E quattro. Tanti sono, negli ultimi tre anni, i colpi assestati dallo Stato alla cosca Facchineri di Cittanova (Reggio Calabria), cellula di ‘ndrangheta ricondotta a quel territorio sin dalla fine dell’Ottocento e dalle propaggini che hanno abbondantemente raggiunto le montagne del nord-ovest (tanto da farla considerare dagli investigatori la famiglia “meglio rappresentata in Valle d’Aosta”). L’ultimo è arrivato oggi, sabato 26 settembre, per mano dei Carabinieri della Compagnia di Taurianova, che hanno attaccato la generazione più recente del sodalizio criminale, arrestando Luigi Facchineri (26 anni) e Domenico Facchineri (28), figli dell’ex latitante Girolamo Facchineri (54).

I due devono scontare tre anni e sei mesi di reclusione, a seguito della condanna definitiva per i reati di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena, aggravati dalle finalità mafiose e commessi fino al 2016, in favore di Giuseppe Crea (classe 1978) e Giuseppe Ferraro (classe 1968), ritenuti già capi ed organizzatori delle temute cosche Crea e Ferraro-Mazzagati ed attualmente detenuti. Nella tesi confermata in tutti i gradi di giudizio – sviluppata dalla Procura di Reggio Calabria, poi avallata da quella Generale – i due giovani Facchineri si erano prodigati per fornire appoggio logistico alla latitanza dei capi ‘ndranghetisti.

I due boss finirono in manette nel gennaio 2016, presi dalla Polizia di Stato in un bunker nell’entroterra di Maropati (sempre nel reggino, non lontano da Cinquefrondi), dopo anni alla “macchia” resi possibili dal prezioso appoggio fornito da altre famiglie del crimine organizzato, tra le quali dalle indagini era emersa appunto quella cittanovese. Domenico e Luigi Facchineri sono stati condotti in cella, dopo la notifica dell’ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria, dove rimarranno per il residuo di pena a loro carico.

Loro padre, Girolamo, era stato catturato due anni fa dagli uomini dell’Arma, che lo avevano trovato in un casolare abbandonato nascosto nella vegetazione dell’Aspromonte, nel quale sono saltati fuori visori notturni, binocoli, ricetrasmittenti, una pistola scacciacani, un boiler per l’acqua calda e pannelli solari per ottenere la corrente elettrica. Si era reso irreperibile nel 2016, sottraendosi all’esecuzione di un provvedimento di fermo relativo alla stessa vicenda per cui le manette hanno cinto oggi i polsi dei figli: aver procurato rifugi, beni materiali e assicurato gli spostamenti ed i collegamenti di Crea e Ferraro con i loro familiari e gli altri membri delle cosche.

Solo l’anno prima, nell’aprile 2017, l’operazione “Alcova” aveva portato ad individuare e incarcerare nel reggino un altro esponente di spicco della cosca, Giuseppe Facchineri (50). Finito a processo per estorsione e rapina in concorso, nell’udienza del 16 gennaio 2016 aveva addirittura inveito e minacciato di morte la persona offesa. Una condotta che, unita alla pericolosità dei reati contestatigli, aveva fatto venir meno i domiciliari (concessi nell’abitazione di alcuni parenti ad Arezzo) e ripristinare la carcerazione. Riportarlo in cella, però, non era stato possibile, vista la sua fuga. A tradirlo è stato il desiderio di continuare ad incontrarsi con la moglie, portando l’Arma – alle 3.45 di una notte – all’individuazione del covo in cui i due si vedevano periodicamente.

Detto “Scarpina”, Giuseppe Facchineri è oggi anche uno dei diciotto imputati del processo nato dall’operazione “Altanum”, che ha visto tredici arresti il 17 luglio 2019, tre dei quali effettuati in Valle d’Aosta. Comparirà il prossimo 21 novembre, dinanzi al Tribunale di Palmi in composizione collegiale, accusato di associazione di tipo mafioso. L’inchiesta, oltre all’esistenza stessa della cosca, riguarda le frizioni e i dissidi tra i Facchineri e la “locale” avversaria di San Giorgio Morgeto, nell’ambito dei quali per la Dda di Reggio Calabria ha preso corpo l’omicidio di Salvatore Raso, esponente dei sangiorgesi assassinato a fucilate in Calabria nel settembre 2011.

A ordinare quell’uccisionw, secondo gli inquirenti, è stato Giuseppe Facchinieri (59) detto “Il professore”, emerso dall’indagine come il Capo della cosca, con il concorso morale di Giuseppe Chemi (59) e Roberto Raffa (44), tutti finiti in cella nel blitz dell’anno scorso. Avrebbero scatenato la furia del sodalizio perché, a seguito della tentata estorsione attuata nei confronti dell’impresario di origini sangiorgesi stabilitosi in Valle d’Aosta Giuseppe Tropiano (per cui i tre sono stati condannati definitivamente nel processo “Tempus Venit”), questi (che stava costruendo il parcheggio pluripiano dell’ospedale di Aosta) anziché denunciare la richiesta economica ricevuta, o assecondarla, si era rivolto ai fratelli dell’assassinato, mettendo così in campo la fazione nemica nella ricerca di un’interlocuzione.

Un gesto inconcepibile per “Il professore”, giacché un accordo con la “locale” avrebbe significato abdicare al principio per cui – come annotato dalla Dda diretta da Giuseppe Bombardieri nelle carte dell’inchiesta – “pur operando in altra regione d’Italia, le attività economiche condotte da soggetti originari del sangiorgese devono dare conto alla famiglia mafiosa predominante nell’area di provenienza”, da lui vista ovviamente nella sua. Per Facchinieri, Chemi e Raffa, che hanno scelto il rito abbreviato, il pm Gianluca Gelso ha chiesto nell’ultima udienza, il 21 settembre, l’ergastolo.

La volontà opposta, cioè evitare una guerra di ‘ndrangheta venne invece restituita dall’inchiesta “Hybris” del 2012, partita da una serie di episodi d’intimidazione (autovetture incendiate, minacce e lesioni gravi), a danno di persone ritenute in Valle contigue alla famiglia Facchineri. Le investigazioni dei Carabinieri del Gruppo Aosta hanno portato ai responsabili (per quanto escludendo l’aggravante del metodo mafioso, in appello vennero confermate le condanne a tre componenti della famiglia Taccone, assieme a Domenico e Santo Mammoliti), ma soprattutto hanno evidenziato come, per comporre la controversia furono “organizzate due riunioni in Calabria (a San Ferdinando e a San Giorgio Morgeto) tra le cosche Facchineri e Pesce”.

Per non dire poi di come, al lavoro per catturare Luigi Facchineri, boss finito in manette nel 2002 a Cannes dopo quattordici anni di latitanza, gli inquirenti avevano riscontrato “una fitta rete di fiancheggiatori presenti anche in Valle”, o ancora di come l’inchiesta “Geenna” – alla base del procedimento chiusosi solo una settimana fa al Tribunale di Aosta con condanne per 55 anni – sia stata alimentata dagli incontri e dalle riunioni accertati tra esponenti della famiglia Nirta “Scalzone” e valdostani dalle radici calabresi che “avevano dato prova” di essere vicini ai Facchineri. Insomma, anche se il loro cammino non risulta aver incrociato la Valle, i motivi per trovare una buona notizia l’arresto dei due “rampolli” della cosca non mancano.

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