Tutti i processi del Presidente: biografia giudiziaria di Augusto Rollandin – Terza parte (2018/2020)

Il 2018 è l’anno del 70° anniversario dello Statuto speciale, il principale riferimento normativo per l’amministrazione regionale, ma la politica valdostana ed il suo Imperatore (per quanto detronizzato dall’inizio dell’anno prima e relegato al solo incarico da consigliere regionale) hanno pensieri diversi dalle celebrazioni, che non andranno molto oltre l’intitolazione dei giardini di via Ollietti ad Emilio Lussu (relatore del testo statutario alla Costituente) e ad un convegno con rappresentanti dei “peuples frères”, per discutere di “Autonomie(s) en mouvement”.

2018, tris di avvisi di garanzia

A muoversi, nei mesi prima, sono stati infatti i militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza, passando alla lente d’ingrandimento quattro finanziamenti erogati dalla Regione al Casinò della Vallée tra il 2012 e il 2015, per un totale di 140 milioni di euro. La conclusione cui giungono è che quei soldi sono stati riconosciuti ad un’azienda che era già “decotta”, ma che i politici hanno comunque continuato a foraggiare, in primis per la sua natura di fucina di consenso elettorale. Uno scenario accusatorio dal quale deriva una contestazione a “tenaglia”, cioè sia della Corte dei Conti, sia della Procura della Repubblica, che esplode il 7 febbraio.

La prima, per mano del procuratore regionale Roberto Rizzi, vede nella pioggia di milioni una “ingiustificata dissipazione di provviste erariali di enorme consistenza” e cita a giudizio ventun consiglieri regionali (in carica ed ex) e un dirigente di piazza Deffeyes – che hanno votato e istruito le rispettive deliberazioni di Consiglio e Giunta – affinché li restituiscano all’ente. Essendo stato in carica al momento di tutti e quattro i provvedimenti, Rollandin è il destinatario di una richiesta record: 17,29 milioni di euro. Avendo poi trascorso un periodo (per quanto ad interim) nei panni di Assessore alle finanze, l’Imperatore finisce anche nell’inchiesta penale.

In questo caso, la tesi del pm Eugenia Menichetti è su due livelli. Il primo investe la “governance” della Casa da gioco: due amministratori unici e il collegio sindacale del periodo avrebbero operato un falso in bilancio. Iscrivendo imposte anticipate (senza che, per la Procura, ne esistessero i presupposti tecnici), le perdite esposte nel documento contabile sarebbero state inferiori a quelle reali. In quel modo, la politica – l’altro piano dell’inchiesta – avrebbe motivato i finanziamenti. Tuttavia, dall’inchiesta Rollandin – così come i colleghi indagati Mauro Baccega ed Ego Perron – era “pienamente consapevole” della situazione aziendale. Da qui l’addebito di truffa, per aver “raggirato e indotto in errore la stessa Regione”, intendendo con ciò i colleghi in Giunta e Consiglio, tenuti dai tre “all’oscuro” delle reali condizioni dell’azienda di Saint-Vincent.

I “ceppi” a conti e immobili

Uno scenario accusatorio senza precedenti per la classe dirigente valdostana, che si rende conto della portata del problema solo il 7 marzo. Il Consiglio regionale è in seduta quando le “Fiamme gialle” notificano agli interessati, diversi dei quali (Rollandin compreso) ancora in carica, il provvedimento di sequestro preventivo dei loro beni, depositi e conti correnti. La Procura contabile sa di aver avanzato la seconda contestazione di danno di sempre in Italia e teme che “i compendi patrimoniali” dei politici finiti nella vicenda “potrebbero, nel frattempo, subire delle modifiche peggiorative in grado di compromettere la solvibilità futura”. Pertanto, agisce per proteggere il credito che potrebbe derivare da una sentenza di condanna.

È il caos, la seduta viene sospesa anticipatamente. Alcuni realizzano la realtà solo quando, tentando di prelevare con il Bancomat, si vedono inibire l’operazione. Il sequestro blocca infatti le giacenze, il quinto della quota di stipendi, pensioni e vitalizi percepiti (o maturati), nonché i beni (in tutto centocinquantuno tra immobili e terreni), che nel caso di Rollandin ammontano ad un valore di 1 milione 462mila euro. Oltre al coro “non abbiamo rubato niente”, i “sigilli” ai patrimoni personali sono bersagliati da ricorsi dei politici per farli saltare e le udienze si susseguono, ma il giudizio finale è di sostanziale conferma degli stessi. L’udienza per discutere il merito della causa sul Casinò è fissata al 27 giugno. Slitterà ancora, fino all’11 luglio, ma prima a “Guste” arriva addosso un uragano simile, se non più eclatante, di quelli che lo portarono alla ribalta delle cronache negli anni ’90.

#CorruzioneVdA

Siamo nella settimana che conduce al voto del 20 maggio per eleggere i protagonisti della XV legislatura del Consiglio regionale. “Guste” è in pista con lo stile di sempre, ma il 14 riceve un avviso di garanzia. Ci legge le accuse di associazione a delinquere finalizzata a commettere delitti contro la pubblica amministrazione e di corruzione continuata per plurimi atti contrari ai doveri d’ufficio. “Promotori ed organizzatori del sodalizio criminale” assieme all’Imperatore, stando all’inchiesta “Effrenata audacia” dei Carabinieri, il già consigliere delegato del Forte di Bard, Gabriele Accornero, e il titolare del “Caseificio Valdostano”, Gerardo Cuomo.

I due erano stati arrestati nel novembre 2017, ritrovando la libertà poco più di un mese dopo, alla vigilia di Natale, occasione in cui emerse inizialmente il coinvolgimento di Rollandin. L’inchiesta, coordinata dal Procuratore capo Paolo Fortuna e dal pm Luca Ceccanti, è imperniata su alcuni episodi corruttivi, nei quali l’Imperatore, tra il 2013 e il 2016, avrebbe mercificato a più riprese le sue funzioni di Presidente della Regione per favorire ed assecondare gli interessi privati di Cuomo, ricorrendo all’azione di Accornero come “trait d’union”.

Stando alle investigazioni, grazie all’“intercessione” di “Rolly” l’imprenditore alimentare avrebbe potuto ampliare la sede della sua attività a Pollein, occupando un capannone della “Autoporto Spa” (una partecipata regionale), riuscendo a far “sloggiare” da quei locali la “Deval Spa” (società elettrica anch’essa controllata da piazza Deffeyes) che li occupava legittimamente, e rinegoziando un contratto d’affitto a condizioni vantaggiose. In cambio, il politico avrebbe ricevuto utilità tra le quali l’Arma individua un cambio pneumatici gratuito alla sua Audi e la possibilità di tenere un “comizio” elettorale all’interno del “Caseificio”, in vista delle elezioni regionali 2013, alla presenza di Cuomo e dei suoi dipendenti.

In un’altra pagina dell’inchiesta viene ipotizzato l’“aggiustamento” della gara per la fornitura alimentare commissionata dal Forte di Bard per il “Trail 4K”, manifestazione cui la Giunta presieduta dall’“Empereur” dà vita nel 2016, a seguito delle frizioni con gli organizzatori dello storico “Tor des Géants” (con il surreale risultato di due competizioni lungo le due alte vie valdostane, nel giro di due settimane consecutive, diverse solo nell’opposto senso di percorrenza del tracciato). La Procura ipotizza che Cuomo fosse già “avvisato” al momento della pubblicazione dell’avviso, con anticipo minimo sul termine di chiusura delle offerte. Nel febbraio 2017, Accornero non aveva voluto rilasciare dichiarazioni ai giornalisti che avevano individuato la presenza, tra i fornitori della gara, del Caseificio, in quella fase nell’occhio del ciclone per l’“affaire” che aveva condotto all’arresto dell’ex procuratore capo facente funzione Pasquale Longarini.

Il mancato arresto dell’Imperatore

Nell’indagine finiscono anche alcuni artigiani, accusati di turbativa d’asta per a lavori al forte di Bard, che avrebbero ottenuto acconsentendo ad intervenire nella ristrutturazione di casa di Accornero. La notizia, alla vigilia dell’appuntamento con le urne, è deflagrante, ma lo Tsunami si abbatte quando emerge che l’ufficio di Procura aveva chiesto al Gip, ad inizio del 2018, l’arresto dell’Imperatore, per approfondire numerose vicende, “tutte legate alla gestione di interessi pubblici rilevanti, in cui Rollandin sta svolgendo un ruolo di primo piano”.

Scorrendo le 100 pagine della richiesta di misura cautelare del pm Ceccanti, la sensazione è di trovarsi dinanzi alla vera e propria mappa, mai tracciata fino ad allora, dell’“Impero Rollandin”. L’ex Presidente viene definito un “amministratore di fatto della cosa pubblica”, che detta “costantemente le mosse a una pletora di soggetti a lui legati” ed usufruisce di “un contesto ove si embricano paura, soggezione, blandizie, ammirazione, servilismo” e stabilisce “indirizzi amministrativi”, oltre ad orientare “pubbliche e private fortune”. Uno scenario che solo la privazione della libertà di “Guste” – ne erano convinti gli inquirenti – avrebbe consentito di penetrare.

D’altronde, osserva la Procura, “nonostante l’avvenuta conoscenza” delle indagini a suo carico (per la perquisizione subita nel novembre 2017), l’Imperatore “non ha minimamente interrotto la sua attività di intromissione in molteplici vicende”. L’elenco, che segue nella richiesta, è lungo e si farebbe quasi prima a dire queli segmenti dello scibile pubblico regionale non tocca. Dai contrasti con la società “Vda Trailers” sul “Tor” (cui Guste ha partecipato in passato) al rinnovo della cariche della “Cervino S.p.A.”, dalla separazione tra l’allora assessore Emily Rini e il suo consorte del tempo (che varrà a lei una convocazione da testimone in Procura e, al Consiglio Valle, una giornata di nevrosi su una interrogazione al riguardo) alle influenze di Rollandin all’interno dell’Unità Sanitaria Locale, dai rapporti di “Guste” con un consigliere d’amministrazione di “Vallée d’Aoste Structure” a questioni relative alla “Compagnia Valdostana delle Acque S.p.A.”, già presieduta da Rollandin ad inizio anni 2000.

Il Gip Giuseppe Colazingari, tuttavia, risponde alla Procura il 30 aprile 2018 che la richiesta di arresto “non viene integralmente condivisa”, rigettandola. Se la ricostruzione dei comportamenti dell’indagato è “indubbiamente condivisibile”, risultando “evidenti i reiterati interventi di Rollandin a favore di Cuomo” (atti “in evidente contraddizione con i doveri di fedeltà, imparzialità, onestà”), dei “seri dubbi si pongono con riferimento alle utilità tratte dall’indagato in forza dell’ipotizzato patto corruttivo”. Inoltre, le “condotte che dovrebbero dimostrare il pericolo di recidiva specifica” risultano “connesse a vicende che non valicano, allo stato, ‘la soglia indiziaria sufficiente per la ravvisabilità di fattispecie di reato”.

Casinò, il secondo avviso in tre giorni

Così, Rollandin arriva a piede libero (e da candidato) alle regionali, tra l’Union Valdôtaine Progressiste che denuncia il “goffo tentativo di confondere i fatti, a pochi giorni dal voto”, l’Alpe che orgogliosamente sottolinea di non essersi mai “mischiata a questo sistema” e uno dei “destinatari” delle richieste dell’Imperatore in materia di riorganizzazione dell’Unità Sanitaria Locale, l’ex direttore generale Igor Rubbo, a rivendicare pubblicamente che “c’è ancora qualcuno che dice no” alle dinamiche evidenziate dalle carte dell’inchiesta. Sul punto si registra anche la presa di posizione dell’allora direttore del dipartimento cardio-toracico-vascolare e delle chirurgie specialistiche dell’Usl, Flavio Peinetti, che rassicura: “mai subito influenze e mai fatto pressioni”. Pluri-citato nell’istanza della Procura, era in quella tornata candidato nell’Uv. Riuscirà ad entrare in Consiglio Valle in corsa ed oggi, abbandonato il “Mouvement”, corre per la conferma nella lista “Alliance Valdôtaine-Stella Alpina-Italia Viva”.

Siamo a qualche metro dalla domenica delle urne, ma prima di conoscere il suo risultato l’Imperatore riceve ancora una volta posta da via Ollietti. Il 17 maggio gli viene notificata la nuova chiusura delle indagini sui 140 milioni di finanziamenti al Casinò. La Procura ha svolto ulteriori accertamenti, alla luce degli atti difensivi di alcuni indagati e sentendo alcuni esponenti di piazza Deffeyes (tra i quali gli allora consiglieri regionali Antonio Fosson e Marco Viérin, oltre agli assessori Emily Rini e Aurelio Marguerettaz, ai già consiglieri grillini Stefano Ferrero e Roberto Cognetta e l’ex assessore Albert Chatrian). Sono serviti a rimodulare le contestazioni, ma l’accusa di truffa per Rollandin resta.

Il crollo di preferenze, la “grana” Finaosta

Giusto il tempo di rendersi conto di essere nuovamente il più votato dai valdostani, con 3.417 preferenze individuali (che però crollano rispetto alle 10.872 di cinque anni prima), e di capire che l’Union Valdôtaine non è più padrona della scena politica regionale (con 7 consiglieri, tanti quanto la Lega Salvini Vallée d’Aoste, che torna nell’Assemblea dopo vent’anni di assenza e riuscirà ad esprimere la prima presidente donna della storia della Regione, Nicoletta Spelgatti, tagliando fuori il Leone Rampante), che i Carabinieri suonano nuovamente alla sua porta, il 22 maggio.

“Guste” quel mattino aveva già un filo di emicrania, non tanto per i festeggiamenti dei risultati, quanto per un tweet choc affidato a notte fonda alla rete da Jean Barocco, al tempo “fedelissimo” dell’Imperatore e illustre “trombato” della tornata elettorale. Dice della “giornata importante per l’Union Valdôtaine: abbiamo perso” e della ricetta per “tornare credibili”, vale a dire le “necessarie ed improcrastinabili” dimissioni di Augusto Rollandin. Il cerchio alla testa diventa insostenibile (per quanto sapesse dell’inchiesta da novembre) con la conclamazione dell’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, relativamente alla procedura che, il 7 agosto 2015, ha condotto Massimo Lévêque sulla poltrona di presidente di Finaosta, la finanziaria regionale.

Oltre allo stesso manager designato e all’“Empereur”, l’avviso di garanzia raggiunge anche Ego Perron, assessore alle finanze al tempo nella Giunta presieduta da Rollandin. A mettere il naso nelle carte e nelle telefonate dei tre (nonostante le intercettazioni a processo verranno giudicate inutilizzabili) sono i Carabinieri del Nucleo Investigativo. La tesi d’accusa, che porta ancora una volta la firma del duo procuratore Fortuna-pm Ceccanti, è che i politici avrebbero anzitutto avvisato Lévêque, in anticipo sul suo svolgimento, dei contenuti del bando per la selezione del Presidente, rassicurandolo inoltre sull’entità degli emolumenti che avrebbe ricevuto. In particolare, a fronte della sua disponibilità a richiedere la nomina solo dietro un compenso non inferiore agli 80mila euro, gli avrebbero garantito che i 31.500 euro lordi previsti dall’avviso avrebbero visto un incremento fino a 100mila euro.

Insomma, un “imbroglio” bello e buono agli occhi degli inquirenti, perché l’importo maggiorato non solo avrebbe superato il “tetto” previsto dalle norme nazionali sulle partecipate, ma si sarebbe pure tradotto in uno “svantaggio” per altri potenziali interessati a partecipare, all’oscuro dell’“extra” destinato ad incrementare il compenso stabilito dall’avviso. Per “Guste” è tris di procedimenti giudiziari nel giro di una settimana, che diventa poker contando l’implicazione nella vertenza contabile sul Casinò. Una condizione di debolezza che si accompagna all’essere rimasto a digiuno di qualsiasi incarico nella formazione della nuova maggioranza, vista l’estromissione dell’Uv e la nascita di una Giunta a trazione leghista, sostenuta da Area Civica-Stella Alpina-Pour Notre Vallée, Alpe e Mouv’.

La condanna contabile

La giustizia fa, intanto, il suo corso e l’11 luglio la selva di avvocati dei difensori e il procuratore Rizzi si affrontano, per cinque ore, nell’aula di piazza Roncas della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti sulle erogazioni regionali alla Casa da gioco. Il rappresentante dell’accusa definisce il rapporto tra Regione e Casinò caratterizzato da “un’anestetizzazione dei meccanismi di controllo”, con i finanziamenti a rappresentare una “straordinaria cura omeopatica”, in cui il malessere viene curato “con dosi massicce dello stesso principio”. Cita, tra l’altro, a sostegno della sua visione, una intercettazione telefonica in cui Rollandin definisce “bollita” l’azienda di Saint-Vincent. Per il difensore dei consiglieri Uv a giudizio, l’avvocato Carlo Emanuele Gallo, la Procura regionale vuole perseguire le “opzioni della Giunta e del Consiglio in ordine al mantenimento del Casinò”, ma sono valutazioni “di politica economica” per cui gli amministratori non sono sindacabili. “Solo la collettività – tuona – è in grado di giudicare i suoi rappresentanti”.

La sentenza viene pubblicata il 25 ottobre: sono 18 i condannati a risarcire in tutto 30 milioni (tre politici e il dirigente chiamato a giudizio vengono assolti). A “Guste” tocca una delle condanne più elevate: 4 milioni e 500mila euro. In sostanza, per i magistrati, il danno erariale è solo in una delle quattro deliberazioni esaminate. Parliamo di quella con cui, il Consiglio Valle, nell’ottobre 2014, ha operato una ricapitalizzazione del Casinò per 60 milioni di euro. Di tutte le altre erogazioni, per quanto “da censurare in punto di trasparenza contabile”, non “vi è prova che la società del Casinò non sia in grado di restituire i finanziamenti ricevuti sotto forma di mutui”, quindi non integrano ipotesi dannose.

La “lettura” data dai giudici Pio Silvestri, Alessandra Olessina e Paolo Cominelli, tuttavia, non convince il successore di Roberto Rizzi alla procura regionale. Massimiliano Atelli, che s’insedia in novembre, annuncia che presenterà appello in tempi brevi. “Io credo che il tema sia piuttosto un altro: – spiega – se l’idea di impiegare liquidità nel tentativo di rilancio della Casa da gioco fosse, per le condizioni in cui in quel momento versava, un tentativo utile, o ormai già un tentativo inutile”. La causa dinanzi alle Sezioni centrali d’appello, inizialmente prevista per il 22 aprile 2020 viene rinviata per l’emergenza sanitaria da Covid-19 Attualmente, è in calendario per il 14 ottobre prossimo. Nel mentre, per i coinvolti, resta in essere il sequestro cautelare di beni e depositi.

Truffa sul Casinò, il Gup assolve

Se con la magistratura contabile per “Rolly” sul Casinò sono dolori acuti, diversamente finisce il processo penale nato dalle indagini della Guardia di finanza. All’udienza del 19 settembre, il pm Menichetti aveva chiesto una condanna a 4 anni ed 8 mesi di carcere per l’Imperatore, richiesta rintuzzata dal difensore dell’ex Presidente, l’avvocato Giorgio Piazzese, arringando su un’azione politica che “è sempre stata finalizzata al raggiungimento dell’interesse pubblico, che era quello di finanziare, di sostenere il Casinò, perché individuato quale strumento fondamentale per il rilancio e lo sviluppo economico, turistico e occupazionale della Regione”. Un obiettivo, aggiunge il legale, peraltro “trasversale, prima, dopo e durante, devo dire, l’epoca di Rollandin” e rispondente anche alla “volontà della maggioranza della popolazione della regione”.

L’8 novembre 2018, il Gup Paolo De Paola assolve “perché il fatto non sussiste” Rollandin e gli altri sei imputati a giudizio assieme a lui. Rinvia, inoltre, a giudizio l’ottavo coinvolto nell’inchiesta, che non ha scelto, come gli altri, il rito abbreviato (l’ex amministratore unico Luca Frigerio, in carica dal 2008 al 2015, che affronterà il dibattimento ordinario, finendo condannato per falso in bilancio e truffa, il 27 marzo 2019, a 4 anni di reclusione ed un maxi-risarcimento da 120 milioni alla Regione). Subito dopo la sentenza, l’Imperatore non nasconde che “per noi questa era una croce”. Sostiene poi che l’Esecutivo da lui presieduto all’epoca, attraverso i finanziamenti erogati, aveva “messo i soldi per ristrutturare” il Casinò, “sennò sarebbe già chiuso da quattro anni”.

Le motivazioni: “non c’era accordo criminale”

Nelle motivazioni al verdetto, depositate nel gennaio 2019, il giudice mette nero su bianco che “non è evincibile dagli atti di indagine la prova di un accordo criminoso” tra gli organi del Casinò “ed i membri della Giunta regionale” e che la “scelta di finanziare tramite mutui la propria società partecipata” ha costituito “una precisa scelta politica di cui la Regione”, in qualità di socio, “ha inteso assumere all’esito di un dibattito tra le varie forze politiche rappresentate”. Parole in cui la Procura vede una “erronea interpretazione” dei “fatti emersi durante la discussione del giudizio, a fronte di una mancata comprensione dell’imputazione a monte” e, il 28 febbraio 2019, impugna le assoluzioni. Ad oggi, il giudizio di secondo grado non è ancora stato fissato.

Intanto, nonostante il principale pensiero giudiziario dell’Imperatore ingombri ancora il suo orizzonte (via Ollietti, in estate, ha chiesto per lui il processo a seguito dell’inchiesta sulla corruzione nelle partecipate valdostane, così come di quella sulla nomina del vertice di Finaosta), politicamente Rollandin riesce a trovare ancora uno spazio. L’occasione è l’evaporazione, dopo sei mesi dall’insediamento, della Giunta Spelgatti, sostituita il 10 dicembre 2018 dall’Esecutivo capeggiato da Antonio Fosson, in cui l’Union Valdôtaine trova nuovamente posto. Dalla ricostituzione degli organi assembleari spunta un posto da Vicepresidente del Consiglio per “Guste”. Sa che, con spade di Damocle giudiziarie non indifferenti sul capo, la Giunta è per lui “off limits”, ma non dice di no all’ufficio di presidenza dell’assemblea.

2019, la caduta dell’Imperatore

Gennaio è iniziato da 23 giorni, quando i Carabinieri suonano la sveglia alla Valle d’Aosta: l’operazione “Geenna”, in corso dalla nottata sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, vede gli arresti dei presunti componenti di una “locale” di ‘ndrangheta che sarebbe stata promossa, organizzata e gestita nel capoluogo regionale. Tra loro c’è Nicola Prettico, consigliere comunale ad Aosta e dipendente del Casinò. In manette finisce anche Marco Sorbara, consigliere regionale (sarà sospeso in forza della misura cautelare), accusato di concorso esterno nel sodalizio criminale. Entrambi sono eletti nelle liste unioniste. L’Imperatore non risulta implicato, ma il suo nome compare 36 volte nelle 920 pagine dell’ordinanza del Gip di Torino che fa scattare il “blitz”: i protagonisti dell’inchiesta lo definiscono “il Testone”.

Per la Valle è l’inizio di un incubo, per le zone grigie tra politica e malaffare che l’indagine delinea, ma l’Imperatore sa che prima ancora, nel processo a fianco di Cuomo e Accornero (per cui ha scelto, ancora una volta, il rito abbreviato), si gioca il destino. La conferma gli arriva il 28 febbraio dell’anno nuovo, quando sente il pm Ceccanti chiedere per lui 6 anni di carcere, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, l’interdizione legale e l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Se fosse un film di supereroi (e in fondo al Forte di Bard, nell’era Accornero venne girato un capitolo della saga Marvel), sarebbe come se un bancale di kryptonite fosse stato scaricato davanti a Superman.

Però è realtà e il suo difensore, il 13 marzo 2019, spende tutte le energie di cui è capace per chiedere l’assoluzione dell’imputato, significando al Gup che “non c’è stato da parte del presidente Rollandin alcun compimento di atti che abbiano comportato una svendita della pubblica funzione a favore di interessi privati e che tutto è sempre stato preordinato al raggiungimento del bene primario che ogni politico deve perseguire, cioè l’interesse pubblico”. In quest’ottica, per l’avvocato Piazzese, il comizio nell’azienda di Cuomo non è stato altro che “legittima attività politica”.

Spuntano le “lettere di patronage”

La sentenza è attesa per la fine del mese, ma Rollandin, fa in tempo ad essere investito da un altra “grana” giudiziaria. Il 15 marzo la Guardia di finanza trova, perquisendo gli uffici di palazzo regionale, tre lettere sottoscritte nel 2014 da “Guste”, in qualità di Presidente della Regione. Sono destinate ad altrettanti istituti bancari (Banca Passadore, Bccv e Banca Popolare di Sondrio) e il testo assicura di fatto la copertura, da parte della Regione, dell’esposizione debitoria della Casa da gioco di Saint-Vincent, per circa 19 milioni di euro.

In occasione degli ordini di esibizione documentale eseguiti in piazza Deffeyes all’epoca delle indagini sui finanziamenti al Casinò, le tre missive non erano state consegnate agli inquirenti e questo getta nel disappunto la Procura, considerato che un processo penale ed uno contabile si sono conclusi senza che quella corrispondenza fosse tra gli atti (tanto che il pm Menichetti le spedisce al volo alla Corte d’Appello di Torino). Ad occuparsi della nuova inchiesta è il Gruppo Aosta delle “Fiamme Gialle”, sotto la direzione del pm Ceccanti. L’ipotesi di reato avanzata a Rollandin è di abuso d’ufficio continuato: nella tesi inquirente non sono stati rinvenuti atti di Giunta o Consiglio Valle che lo autorizzassero ad impegnarsi nei confronti degli istituti di credito.

Invitato a comparire dal pubblico ministero per il 18 marzo, l’Imperatore rifiuta. Le indagini, durante le quali sfila in Procura anche l’intera Giunta in carica nella primavera in cui le lettere erano partite (che si chiude nel silenzio con i cronisti, perché quelle deposizioni vengono secretate), si chiudono a tempo di record. Il pubblico ministero, il 5 aprile, chiede il giudizio immediato per l’ex Capo dell’Esecutivo, che ha tre opzioni: chiedere un patteggiamento, chiedere il rito abbreviato, o accettare il rito ordinario e presentarsi all’udienza già fissata dal Gip.

Corruzione: “colpevole”

Nell’aria, però, è ancora assordante l’eco del colpo che ha incassato pochi giorni prima, il 28 marzo. Nell’epilogo del processo di primo grado del processo CorruzioneVdA, il Gup De Paola lo ha condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere, riconoscendolo colpevole di corruzione. Anche per gli altri co-imputati le pene sono pesanti: 4 anni 6 mesi e 20 giorni per Gabriele Accornero; 3 anni e 8 mesi per Gerardo Cuomo. Per tutti scatta l’assoluzione dall’associazione a delinquere, “perché il fatto non sussiste”.

L’Imperatore non è in aula quando la sua corona di alloro cade a terra per effetto del verdetto: è stato presente a tutte le udienze, evitando la lettura del dispositivo (e spicca anche l’assenza della Regione quale parte civile). Il legale che lo assiste parla di sentenza che “non si giustifica, perché il materiale probatorio non dimostra l’esistenza della corruzione”, confermando che l’entità della condanna farà scattare la sospensione, ai sensi della “Severino”, dalla carica di consigliere regionale. A quanto trapela all’indomani della sentenza, lo scontro in aula (a porte chiuse) si è consumato soprattutto sul “filone elettorale” delle indagini.

Anticipato dalle reazioni della politica che inneggiano, per lo più, alla “fine di un’epoca”, dalle dimissioni del diretto interessato da Vicepresidente del Consiglio (che si “autosospende” anche dall’Union Valdôtaine, senza che nessuno – malgrado il precedente degli anni ’90 – eccepisca alcunché), il decreto arriva in Regione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il successivo 6 maggio, aprendo le porte dell’aula di piazza Deffeyes, in qualità di supplente, al medico Peinetti. Dopo la dichiarazione di decadenza del 1998, “Guste” esce cosl di scena dal Consiglio Valle per la seconda volta, nella sua lunga permanenza tra quei banchi.

“Rollandin ha certamente violato il dovere di imparzialità, trasparenza e correttezza impostogli” dalla Costituzione e si è “asservito agli interessi personali del Cuomo”. Lo si legge nelle 165 pagine di motivazioni che, in giugno, sostanziano la colpevolezza degli imputati. Il giudice, ripercorsa la corruzione basata sulle utilità che hanno “remunerato” l’allora Presidente per aver consentito il trasferimento del “Caseificio Valdostano”, si sofferma sui “favori” tra Cuomo e Accornero, quindi spiega perché quel “triangolo”, seppur criminale, non fu associazione a delinquere. Il pm Ceccanti resta dell’idea che si trattasse, invece, di una “elaborata banda criminale” e ricorre sull’assoluzione in Corte d’Appello. Nemmeno in questo caso, una data per il nuovo giudizio risulta essere ancora stata fissata.

Nomina Finaosta, è assoluzione

Al Tribunale di Aosta restano da definire due dei quattro procedimenti che hanno coinvolto “Rolly” negli ultimi due anni. Il primo, quello sulla presunta turbativa della designazione della presidenza Finaosta, va a sentenza il 13 maggio: Rollandin, Perron e Lévêque vengono assolti dal Gup Luca Fadda perché il “fatto non sussiste”. L’avvocato Grosso, anche stavolta a fianco di Rollandin (per il quale l’accusa aveva invocato due anni di carcere) osserva che “il giudice ha colto perfettamente la situazione”, rappresentata dal fatto che – aggiunge il co-difensore Andrea Balducci – “quel tipo di gara non era gara, non era bando. Mai e poi mai si sarebbe potuto parlare di turbativa d’asta in un caso di questo tipo”.

Il perché dell’esito, si apprenderà dalle motivazioni disponibili in una quindicina di giorni, avalla tale visione. Il sistema previsto dalla legge regionale sulle nomine (la n. 11 del 1997) è “privo di precisi criteri di selezione e sostanzialmente rimesso alla valutazione fiduciaria dell’organo competente”, nella fattispecie la Giunta regionale. Pertanto, pur censurando che l’intero meccanismo “pare privilegiare non la meritocrazia”, bensì “la ‘fedeltà alla linea’”, il magistrato colloca la procedura al di fuori della nozione di “gara” e quindi dell’applicazione del reato di turbativa. Di fiduciarietà della designazione, nel caso della finanziaria regionale, proprio non è possibile parlare, secondo il pm Ceccanti, che con il suo ricorso apparecchia la tavola per il prosieguo in secondo grado del procedimento – con tappe tutte da indire – nei confronti di Rollandin.

La non colpevolezza sulle lettere alle banche

L’ultimo walzer con la Giustizia che al momento impegna “Rolly” ad Aosta finisce nel mezzo dell’estate, il 23 luglio 2019. Parliamo del processo sulle lettere di patronage, celebrato con rito abbreviato, in cui la Procura aveva chiesto al giudice Davide Paladino due anni di carcere. La richiesta non trova accoglimento: così come già per la vicenda Finaosta, l’esito sarà di assoluzione perché “il fatto non sussiste”. Il difensore Piazzese commenta togliendosi qualche sassolino dalla scarpa: “La fretta è sempre cattiva consigliera. Gli elementi di non colpevolezza dell’imputato erano tutti nel fascicolo del pm”.

Le motivazioni al verdetto, disponibili nei primi giorni di ottobre 2019, chiariranno che, alla base della pronunciata non colpevolezza, vi è anzitutto la natura del testo delle missive, tale da non contenere “l’assunzione di un esplicito impegno da parte della Regione” a garantire “gli istituti bancari, nell’eventualità di inadempimento, insolvenza, sottoposizione a procedure concorsuali” della Casinò de la Vallée. Nell’atto di appello del verdetto da parte del pm, che puntuale arriva anche su questa vicenda (e nemmeno qui esiste una fissazione del procedimento a Torino), la sentenza viene definita afflitta da “marchiani errori di superficialità” e da “deficit argomentativo”, giacché “oblitera praticamente tutti gli elementi raccolti dall’Ufficio di Procura”.

“Non si vede perché”, se le missive fossero “una mera espressione della generica volontà politica di sostenere (non si capisce bene in che modo) il Casinò – appunta il sostituto procuratore Ceccanti – il Rollandin avrebbe tenuto all’oscuro, volutamente, tutti i membri della Giunta da lui presieduta”. Una domanda cui segue l’osservazione che “la volontà politica si manifesta in forme espresse, pubbliche, non certo attraverso un’operazione che è stata condotta in gran segreto”. Contegno che “non rappresenta solo uno spregiudicato modo di gestione del potere” targato Rollandin, ma appare “strumentale all’occultamento di un ordito palesemente criminoso, finalizzato a garantire la sopravvivenza di una società partecipata che si trovava, già all’epoca, in situazione di crisi conclamata”. Il Casinò e la sua decozione, ancora una volta.

La bomba “Egomnia”

Sul finire dell’anno è lo sviluppo dell’indagine della Dda torinese a tenere banco. In estate i pm Stefano Castellani e Valerio Longi hanno chiuso “Geenna”, con accuse a diciannove imputati. Il procedimento inizia il 12 dicembre ed è subito colpo di scena: nei giorni prima, l’accusa ha depositato, per l’acquisizione al fascicolo processuale, un’annotazione dei Carabinieri su un’inchiesta sino ad allora sconosciuta, condotta nei primi mesi del 2018, in piena campagna elettorale. È stata battezzata “Egomnia” e riguarda il presunto condizionamento della “locale” dell’appuntamento con le urne per le “regionali”.

Le carte, che includono centinaia di intercettazioni, raccontano come, con l’avvicinarsi al voto, i componenti dell’associazione criminale analizzino la frastagliata situazione politica ed elaborino “una nuova strategia elettorale”, decidendo “di sostenere più candidati di diversi partiti politici”, così da “ottenere un parterre più ampio di eleggibili fra le liste dei partiti”. I “cavalli” su cui il sodalizio avrebbe puntato sono: gli assessori in quel momento Renzo Testolin e Laurent Viérin, il consigliere Luca Bianchi, Marco Sorbara (arrestato in gennaio e ai domiciliari) e “in parte” Augusto Rollandin, ma anche l’assessore Stefano Borrello e il presidente della Giunta in carica, Antonio Fosson.

E’ una tromba d’aria sul Consiglio ormai orfano dell’Imperatore, anche perché tempo qualche giorno e si scopre che gli indagati, per scambio elettorale politico-mafioso, sono Fosson, Viérin, Bianchi e Borrello, ai quali era arrivato a fine agosto un avviso di garanzia, con annesso invito a comparire alla Procura torinese. Non l’hanno annunciato pubblicamente e sono rimasti in carica. Gli ultimi tre sono già stati interrogati dagli inquirenti, mentre Fosson, che riveste anche attribuzioni prefettizie in qualità di Capo dell’Esecutivo, non solo non ha risposto alla chiamata inquirente, ma ha anche compiuto atti di natura sensibile, come presiedere le riunioni del Cosp sugli accessi antimafia ad Aosta e Saint-Pierre, o sottoscrivere la costituzione di parte civile della Regione nel procedimento “Geenna”.

2020, “Guste” torna in corsa

I tre componenti della Giunta si dimettono, letteralmente travolti dal ciclone mediatico nazionale suscitato dalla vicenda. Provano a resistere e mantenere le funzioni da consiglieri, ma il tentativo si rivela vano: lasceranno l’Assemblea, così come farà anche il consigliere Bianchi. Andandosene, Fosson lascia lo scettro da presidente nelle mani del suo vice, quel Testolin comunque menzionato a più riprese nell’annotazione dell’Arma. Si apre una crisi che non troverà composizione e condurrà alle elezioni anticipate, le prime in 70 anni di storia dell’Autonomia regionale, per cui si voterà tra pochi giorni.

La Valle lacerata

L’altro primato con cui la Valle si trova a fare i conti è lo scioglimento, mai avvenuto prima, di un comune per infiltrazione mafiosa: è Saint-Pierre, del quale il Governo decreta il commissariamento il 6 febbraio 2020. Alla vigilia di Natale, analogo destino era toccato a San Giorgio Morgeto, in provincia di Reggio Calabria, località di provenienza della maggior parte dei calabresi emigrati e stabilitisi in Valle, ove gli ispettori erano arrivati in Municipio proprio alla luce di alcune risultanze dell’inchiesta della Dda di Torino.

Oltretutto, in queste condizioni di precario assetto istituzionale la Regione affronta anche, da marzo, la pandemia da Covid-19, che ha fatto sinora registrare 146 vittime. Il presidente Testolin e il coordinatore dell’emergenza sanitaria Renzo Montagnani finiscono anche indagati – per la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico, rispetto ad alcune dichiarazioni da loro rese in conferenze stampa alla fine di febbraio, quando avevano rappresentato la Valle come “una destinazione ideale e sicura”. Il pm Francesco Pizzato chiede l’archiviazione del fascicolo, ma bolla le affermazioni dei due come “informazioni erronee e addirittura potenzialmente pericolose per la salute pubblica”.

In aula, ma da testimone

Quanto a Rollandin, la sua ultima apparizione pubblica è del 24 giugno scorso, quando depone, per una dozzina di minuti, al processo “Geenna”, citato quale testimone dalle difese di tre degli imputati che hanno scelto il rito ordinario e sono finiti a giudizio dinanzi al Tribunale di Aosta. Bolla il suo rapporto con Nicola Prettico come “con tanti altri che sono dello stesso movimento”, esclude di aver mai conosciuto personalmente Monica Carcea, né di aver telefonato al sindaco eletto a Saint-Pierre nel 2015, Paolo Lavy per far ottenere l’incarico in Giunta all’imputata: “non ho mai avuto rapporti con lui”.

L’estate porta la canicola che non si sentiva tra i monti da un po’, ma anche la prima tranche di sentenza sulla ‘ndrangheta in Valle. Il Gup di Torino Alessandra Danieli, il 24 luglio, condanna per associazione a delinquere di stampo mafioso quattro dei presunti partecipi alla “locale” aostana, che hanno optato per il rito abbreviato. Parliamo di Bruno Nirta (12 anni e 8 mesi di carcere) i fratelli Marco Fabrizio (9 anni) e Roberto Alex (5 anni e 4 mesi) Di Donato e Francesco Mammoliti (5 anni e 4 mesi).

Il processo aostano arriverà al capolinea a tre giorni dal voto, giovedì 17 settembre (la discussione è finita la settimana scorsa, con la Dda di Torino che – per bocca del procuratore capo di Torino, Anna Maria Loreto – ha sollecitato 58 anni di carcere, tra i cinque imputati). La storia dell’avvicinamento alle elezioni regionali (che coincideranno con il referendum costituzionale e con il rinnovo di 65 consigli comunali ) è nota. Nessuno degli indagati sinora noti in “Egomnia” ha scelto di ripresentarsi al giudizio degli elettori. Rollandin, dato il “2 di picche” all’Uv e creata la nuova formazione “Pour l’Autonomie”, correrà di nuovo per un seggio al Consiglio Valle.

Gli interrogativi irrisolti

Se venisse eletto potrebbe non sedere tra gli scranni di piazza Deffeyes, visto il provvedimento di sospensione a suo carico, almeno fino a novembre 2020, quando, in assenza di una conferma in Appello della condanna del processo #CorruzioneVdA (ma il giudizio non risulta nemmeno ancora convocato), scadranno i 18 mesi di “stop” previsti dalla “Severino”. Attenzione, se però “Guste” risultasse colpevole nel secondo grado di quel procedimento, nel prosieguo della legislatura, la scure sospensiva si abbatterebbe nuovamente su di lui. Lo stesso se negli altri Appelli che lo attendono dovesse arrivare una condanna, in misura e per reati tali da integrare la sospensione.

La presenza in lista del veterinario di Brusson non viola la legge. L’essere sospesi non implica l’incandidabilità (altra “distrazioncina” del legislatore nazionale? Chissà), la sua sola sentenza passata in giudicato è stata oggetto di riabilitazione (sparendo così dal certificato del casellario giudiziale) e gli altri pronunciamenti sono lungi dall’essere definitivi (valendogli la presunzione di non colpevolezza). La sua candidatura in regime di sospensione dalla carica apre però più interrogativi sul piano etico e dell’opportunità. Quanto è rispettoso delle Istituzioni, degli elettori e del confronto democratico l’essersi presentato comunque ai nastri di partenza, ben sapendo che qualora eletto non entrerebbe da subito in aula, ma contribuendo intanto (verosimilmente in modo determinante, per la sua storia di “peso massimo” di consensi) al raggiungimento del quorum della lista in cui è inserito?

Quanto sbagliano coloro che vedono nella sua partecipazione alla competizione elettorale in queste condizioni, benché regolare e legittima, un effetto “dopante” del risultato di “Pour l’Autonomie”, e di “destabilizzazione” dell’intera elezione (oltretutto, a preferenza unica)? E ancora, quale impegno può sinceramente assicurare alla comunità un candidato che dovrà dedicare tempo ed energie a difendersi, nei prossimi anni, in quattro processi d’Appello, senza oltretutto avere la certezza di disporre, per concretizzare i suoi propositi elettorali, dell’intera durata naturale del mandato (viste le incognite legate alla misura sospensiva)? Interrogativi che, nella campagna elettorale alle ultime battute, rimangono sul tappeto. E dire che “Guste” è caro ai suoi fans perché “sa trovare risposte come nessun altro”, ma su alcuni temi paiono pensarla come Charles Dickens: “Non fare domande e non ti verranno dette bugie”.

(3 – Fine)

Link alla prima parte (1992-2008) e alla seconda (2009-2017).

3 pensieri su “Tutti i processi del Presidente: biografia giudiziaria di Augusto Rollandin – Terza parte (2018/2020)

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