
Tredici anni da Presidente della Regione (dal 1984 al 1990 e dal 2008 al 2017), sei da Assessore regionale (tra il 1978 e il 1984, senza contare varie parentesi “ad interim”), cinque da Senatore della Repubblica (dal 2001 al 2006) e tre da Sindaco di Brusson (dal 1975 al 1978) fanno di Augusto Arduino Claudio Rollandin il politico di massimo corso in Valle d’Aosta, rango al quale si accompagna però un altro primato.
Il veterinario 71enne della Val d’Ayas è anche colui che più di altri, lungo il suo cammino nelle Istituzioni, ha incontrato la giustizia, in procedimenti (penali e contabili) dai risvolti e dagli esiti che non sempre lo hanno specchiato nell’articolo 54 della Costituzione (quello che recita: “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”).
Eppure, per motivi che richiederebbero ben più spazio di queste colonne (anche se essenzialmente attinenti ad una gestione personalistica del potere), ciò non ha mai suscitato, nella comunità valdostana, una riprovazione sociale tale da incrinare i destini elettorali dell’uomo. Guardando ai rinnovi del Consiglio Valle dal 1978 al 2018, “Guste” (contrazione del suo nome in dialetto “patois”) è rimasto ai box solo nella tornata del 2003 (si vedrà in seguito perché), risultando praticamente sempre primatista di preferenze individuali, salvo nell’anno dell’esordio regionale e con un picco imbattuto di 13.907 nel 2008.
Oggi, nonostante sia sospeso da Consigliere regionale (la legge Severino è scattata a seguito di una condanna del 2018), forte del fatto che tale condizione non implichi l’incandidabilità, corre nuovamente per un seggio in piazza Deffeyes, ove, qualora eletto, non avrebbe però la possibilità di sedere fino al prossimo novembre (e la sua permanenza nell’Assemblea potrebbe essere condizionata dagli esiti del procedimento penale, ancora in corso). Gli osservatori della politica locale non sono stupiti e citano Andreotti (“il potere logora chi non ce l’ha”), ma pur di esserci stavolta l’Imperatore (un altro dei diversi nomignoli con cui è noto, assieme a “Rolly”) ha fatto anche a meno del suo movimento storico, l’Union Valdôtaine.
Settimane fa, il presidente unionista Erik Lavevaz ha dichiarato “l’ultima cosa che vorrei vedere è Rollandin nella nostra lista” e il diretto interessato – che dopo le ultime “tegole” cadutegli in testa da via Ollietti si era affrettato a rispolverare l’“autosospensione”, istituto giuridico non contemplato da alcuna norma e da lui stesso “lanciato” all’inizio degli anni ’90, “vendendolo” quale gesto di responsabilità ed altruismo di rara fattura – lo ha accontentato senza colpo ferire.
Assieme ad un manipolo di “fedelissimi” ha dato vita a “Per l’Autonomia – Pour l’Autonomie”, formazione di cui – oltre ad alcuni fondatori, e alle parole echeggiate in una conferenza stampa ben presto trasformatasi in uno “one man show” – non si sa, per ora, molto di più. Nemmeno questo, a dire la verità, stupisce. La storia di Rollandin è fatta di gesti compiuti e mai spiegati, con quei silenzi a rendere ogni volta plausibile la motivazione più scontata (e meno sostenibile pubblicamente): la riaffermazione del suo status.
Mettere in fila le vicende giudiziarie dell’uomo (iniziate ben prima del 2002, classe che sarà chiamata, per la prima volta, all’appuntamento con le urne del prossimo 20-21 settembre) è eloquente degli ultimi quarant’anni di Valle d’Aosta. Una parentesi eterna solcata da una classe politica (per cui l’Imperatore rappresenta, a seconda delle parti e dei momenti, sia il Comandante in capo, sia l’icona da emulare, fatti salvi i rari oppositori che l’hanno elevato a male assoluto) riuscita – pur brandendoli esteriormente come drappi – a lasciar scolorire al sole del tempo, sino a spingerli nel dimenticatoio collettivo, i valori di etica ed opportunità.
1992, in principio fu una discarica
È il 1992 quando Rollandin viene accusato di abuso d’ufficio e turbativa d’asta dalla Procura di Aosta, che aveva messo gli occhi sull’aggiudicazione di un appalto regionale per la bonifica di una discarica di rifiuti a Quart, risalente al giugno 1988. Per gli inquirenti, nell’allora veste di Capo dell’Esecutivo, l’Imperatore aveva strumentalizzato la propria carica per condizionare l’affidamento, le cui modalità erano state “truccate” nel corso della gara.
All’emergere della notizia del processo, “Guste”, in quel momento assessore all’Agricoltura nella Giunta post-ribaltone guidata da Ilario Lanivi, esordisce nel numero dell’autosospensione. Non si dimette, ma annuncia di “congelare” le sue attività in seno all’Esecutivo, fino al chiarimento della sua posizione giudiziaria. Una mossa che culmina nel paradosso per cui il Governo, di cui formalmente Rollandin fa parte, decide di costituirsi parte civile nel procedimento penale in cui lo stesso è imputato, chiedendogli quindi di risarcire all’amministrazione regionale i danni eventualmente causati dalla sua condotta.
La questione approda anche in Consiglio Valle, per effetto di una mozione dell’opposizione, che scatena un dibattito caratterizzato dai silenzi della maggioranza, testimoniati dal resoconto della seduta (eccezion fatta per il presidente Lanivi e il consigliere del Pci-Pds Igino Bajocco), e da alcune considerazioni su come il telegiornale regionale Rai dell’epoca ha trattato la notizia dell'”autosospensione”.
“Guste” non riesce comunque a scampare le dimissioni (cessa da assessore il 9 dicembre 1992), restando capogruppo dell’Union Valdôtaine in Consiglio. Il procedimento penale iniziato al Tribunale di Aosta fa intanto il suo corso e si chiude, nel 1994, con la condanna di Rollandin, resa definitiva dalla Corte di Cassazione, a 16 mesi di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici, per abuso d’ufficio per favoreggiamento in appalti.
1993, scandalo trasporti e voto di scambio
Nel frattempo, però, una nuova valanga giudiziaria si stacca sulla Valle. Sei mesi dopo le elezioni del maggio 1993, alle quali ha totalizzato 5.573 preferenze, l’Imperatore viene arrestato e finisce in cella, dove trascorrerà un paio di mesi di custodia preventiva. L’astro lucente unionista è il punto in comune di due distinti filoni d’indagini, coordinati da un giovane pm arrivato in via Ollietti, Pasquale Longarini. In uno è accusato, assieme all’altro ex presidente Lanivi, dell’erogazione di finanziamenti illeciti (per un totale di 9 miliardi e 247 milioni di lire) ad un’azienda di trasporti pubblici di cui, stando alle indagini, era socio occulto.
Nell’altro, di voto di scambio nella tornata elettorale regionale di quello stesso anno. Nella ricostruzione della Procura, avrebbe fatto arrivare all’aostano Domenico Cosentino 30 milioni di lire (consegnati da Rosina Rosset, cui aveva fatto da “corriere” della somma l’ex segretario particolare di Rollandin, Jean Barocco, oggi consigliere regionale uscente e candidato nella lista “Alliance Valdôtaine-Stella Alpina-Italia Viva”). “Soldi dati come corrispettivo di pacchetti di voti” aveva spiegato il procuratore della Repubblica Luigi Schiavone.
Dall’inchiesta era emersa anche la figura di Francesco Raso, anziano ebanista di Saint-Vincent con il pallino per la politica (già nel 1978 era nel direttivo valdostano del Partito Socialista Italiano). Il suo nome viene peraltro fatto agli inquirenti anche da un pentito, Salvatore Caruso, che lo indica quale successore di Santo Oliverio a capo della cosca di ‘ndrangheta attiva in Valle d’Aosta, di cui aveva appreso dell’esistenza sin dal 1988. Sarebbe stato Raso a garantire voti a candidati dell’Union, in cambio della promessa di assunzioni in impieghi pubblici e dintorni.
A processo, il 29 febbraio 1996, dinanzi al Gip di Aosta, Raso patteggia 5 mesi e 10 giorni di reclusione. Rollandin viene condannato a 10 mesi, Barocco a 5 mesi e 10 giorni, Cosentino alla stessa pena e la Rosset assolta. Nell’ottobre 1999, nel giudizio di secondo grado, alla Corte d’Appello di Torino, tutti gli imputati vengono assolti. La sentenza diviene definitiva, vista l’assenza di ulteriori ricorsi in Cassazione. I giudici, nelle motivazioni, mettono nero su bianco che “gravemente riprovevole fu l’operato del Rollandin e degli altri imputati, ma insufficiente è la prova della loro penale responsabilità”.
Venendo all’intercettazione in cui si sente Rollandin affermare “si tratta di un discorso di spese, che sono necessarie…” e Cosentino rispondere “Deve capire che vado incontro a spese, non posso permettermi di andare a mani vuote…”, nonché al filmato che ritrae il passaggio del sacchetto dalle mani della Rosset a Cosentino, per la Corte d’Appello “non vuol dire necessariamente che i voti dovevano essere acquistati, ma può significare che l’attività di propaganda svolta dal Cosentino comportava appunto delle spese”.
Un principio analogo viene affermato anche riguardo all’assunzione promessa del figlio di Cosentino al Casinò, insieme ad altre persone suggerite da Raso. Per i magistrati torinesi siamo di fronte a: “Una censurabile, ma penalmente irrilevante attività di propaganda elettorale a favore del Rollandin…”. Nell’“Affaire trasporti”, invece, il processo penale a carico di “Guste” viene bloccato dalla prescrizione, ma avrà strascichi contabili, perché nel novembre 2007 la prima sezione d’appello della Corte dei Conti lo condanna a versare alla Regione 480mila euro.
1998, elezione e decadenza
Occorre però fare un passo indietro perché nel 1998, nonostante il provvedimento interdittivo derivante dal verdetto sull’appalto della discarica e le altre implicazioni giudiziarie collezionate cammin facendo, l’Imperatore riesce comunque a catalizzare un consenso nella casa del Leone rampante (dov’era stato sospeso allo scoppiare delle accuse di voto di scambio e riammesso nel 1996), tale da sopire le aperte contestazioni di alcuni esponenti e far sì che il suo nome venga incluso nella lista delle regionali di quell’anno. L’ufficio elettorale regionale lo depennerà in prima battuta, ma sarà riammesso dal Tar della Lombardia.
I fendenti menati dai pm in quel periodo non scalfiscono l’impatto del “presidentissimo” sui valdostani. Ancora una volta fa saltare il banco, totalizzando 8.873 preferenze. La giustizia però non funziona con l’applausometro, come un comizio, e – per quanto il Consiglio Valle, a seguito di un dibattito in cui l’Uv brandisce il tema “qui non siamo in un Tribunale”, ne convalidi l’elezione nella prima seduta (29 favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti), l’11 novembre 1998 Rollandin viene dichiarato decaduto dalla carica di Consigliere.
Il tonfo fa rumore e tanti sarebbero rimasti definitivamente al tappeto, ma in una carriera politica votata a sopravvivere anzitutto a sé stesso trovare una strada per risorgere è solo questione di tempo ed idee. In questo caso, per la verità, è sentiero tutto sommato obbligato, o comunque l’unico immaginabile volendo restare “nel circuito”: costretto lontano da piazza Deffeyes, “Rolly” riparte da viale dei Partigiani, sede aostana storica dell’Uv.
Al congresso di Saint-Vincent del novembre 1998 si presenta da candidato Presidente (posto lasciato vuoto da Carlo Perrin, divenuto assessore e quindi incompatibile con il vertice del “Mouvement”). Le voci dissonanti nei suoi confronti si innalzano più di una volta, a partire da quelle della Giunta regionale in carica, capitanata da Dino Viérin. Non bastano, però, ad impedirgli di centrare l’obiettivo: esce vincitore, per 290 voti a 208, dallo scontro con l’altro candidato, il già Presidente del Consiglio Francesco Stévenin.
2001, da Aosta a Roma
Nel 2001, il rientro sulla scena elettorale, frutto di un conto che ha dell’impossibile, ma drammaticamente torna. Nel Paese in cui le leggi le scrive chi è cosciente che potrebbe esserne, prima o poi, interessato, la Valle d’Aosta scopre che l’interdizione dai pubblici uffici non si applica per il Parlamento. Così, “Guste” può correre per uno scranno a palazzo Madama, in coppia con Ivo Collé come aspirante deputato, sotto l’egida della coalizione “Vallée d’Aoste”.
L’avvento del 13 maggio 2001, data della consultazione, certifica il successo dell’operazione. Rollandin vola a Roma con 32.429 voti (doppiando il secondo arrivato, candidato del centrodestra, fermatosi a 14.817). Al momento di scegliere ove collocarsi nell’agone parlamentare si dimostra (a modo suo) coerente con il “ni droite, ni gauche” professato da sempre, figurando tra i promotori del gruppo “Per le Autonomie”, che nasce per “rappresentare gli esponenti dei partiti delle minoranze linguistiche o regionalisti”.
Ne fanno, tuttavia, parte anche alcuni senatori a vita e così l’Imperatore si trova vicino di banco, in quella legislatura, dei custodi di alcuni tra i più delicati segreti della Repubblica, come Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Relazioni e rapporti che coltiva tra una riunione dell’Ufficio di presidenza del Senato (di cui è Segretario) e delle commissioni igiene e sanità, territorio, e d’inchiesta sul fiume Sarno. Quanto a quest’ultima, chissà se a Roma avranno saputo che, nel 1986, il Wwf gli aveva assegnato il “Premio Attila” quale rappresentante del governo regionale distintosi per “provvedimenti, opere od attività che hanno inciso o incideranno profondamente in modo negativo sull’ambiente della Valle d’Aosta”.
Cinque anni dopo, in Valle, l’acqua è mossa e a “Guste” arriva un altro schizzo. Carlo Perrin, fresco della scissione dall’Uv che culminerà nella nascita di Renouveau Valdôtain (per essere stato esautorato da presidente della Regione, sostituendolo con Luciano Caveri, già deputato ed europarlamentare considerato “creatura” di Rollandin, che ne “spinse” al movimento la candidatura alla Camera nel 1987), diventa Senatore al suo posto, preferito da 32.555 elettori del collegio uninominale della Valle d’Aosta (quasi 10mila in più dei 23.574 di “Rolly”). Non va bene nemmeno al nuovo co-équipier, Marco Viérin, che si vede superato, per Montecitorio, da Roberto Nicco.
2008, di nuovo in Consiglio Valle
L’Imperatore è sconfitto, ma (come sempre) non domo e, men che meno, è dell’idea di stare lontano dagli ambienti governativi (e relativi sottoboschi). A nemmeno tre mesi dalla “trombatura” alle politiche, il 28 giugno 2006, il Consiglio di Amministrazione di Finaosta, la finanziaria regionale, lo nomina (su indicazione della Giunta a trazione Caveri, anch’egli oggi in lizza per un seggio nell’Assemblea valdostana, dopo una lunga assenza dalla politica attiva, nella lista “Vallée d’Aoste Unie”) Presidente della controllata “Compagnia Valdostana delle Acque”, la C.V.A..
Parliamo del polo energetico regionale che, nel 2002, ha acquisito dall’Enel le 25 centrali idroelettriche esistenti in Valle e che ha chiuso l’esercizio 2007 con un fatturato di 390 milioni di euro e un utile netto di 51 milioni. La scelta solleva polemiche e perplessità nella popolazione e in alcuni partiti. Tra chi parla di “manu militari della politica sul mondo economico” e chi presenta mozioni in Consiglio Valle, anche la stessa Uv rumoreggia. A posteriori, nel 2013, dopo aver abbandonato il “Mouvement” per l’Union Valdôtaine Progressiste (perché era divenuto “impossibile” lavorare “da dentro per correggere la gestione verticistica e personalistica del presidente Rollandin”), lo stesso Caveri commenterà quella nomina sul suo blog con “Chi è causa del suo mal…”. Al tempo, però, l’Augusto continua a tessere la sua tela.
Eterno manovratore, è l’aula al primo piano di piazza Deffeyes, quella del Consiglio Valle, che ha nuovamente nel mirino. Sulla sua strada si parano due ostacoli. Il primo, quell’interdizione costatagli il seggio nel 1998, lo salta grazie all’ottenimento della riabilitazione, che estingue le pene accessorie e ogni altra conseguenza del reato per cui è stato condannato. Cucù, l’impiccio non c’è più. È un mero effetto dell’ordinamento in materia, ma Rollandin lo interpreta (e non lo disturba che altri lo facciano) come una sorta di riabilitazione morale.
L’altro “fastidio” è la condanna contabile del 2007, propaggine dell’“Affaire trasporti”: i 480mila euro che deve versare alla Regione possono porlo in potenziale “lite pendente” con l’ente, che configurerebbe causa di incompatibilità con la carica di Consigliere. L’unico modo per evitare il tranello è pagare. La somma però non è indifferente, anche per uno che pure introita prebende pubbliche quasi ininterrottamente dal 1978, ma sarà proprio quello a permettergli di riuscirci. Verserà con un’anticipazione dei fondi previdenziali regionali accantonati nei mandati precedenti.
Eccolo prendere carta e penna e scrivere una lettera d’amore all’Uv: “nulla osta al fatto che io sieda in Consiglio Valle”, sappiatelo e pensateci. Il movimento, presieduto in quel momento da Ego Perron, considerato un altro “delfino” dell’“empereur” (e che, più avanti, finirà anche a processo con lui), lo candida ed è il tripudio: con le sue 13.907 preferenze (il secondo classificato non andrà oltre 5.161) l’Union decolla a 17 seggi. Un risultato che rende perfino inutile qualsiasi trattativa: Rollandin, alla vigilia del primo decennio degli anni 2000, è di nuovo Presidente della Regione.
(1 – Continua)
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