‘ndrangheta in Valle d’Aosta: il difficile comincia adesso

Per uno di quei casi di cui il pianeta giudiziario è costellato, le condanne con cui il Gup del Tribunale di Torino Alessandra Danieli ha sancito che quella promossa, organizzata e gestita ad Aosta da Bruno Nirta, Marco Fabrizio Di Donato, Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti fosse una “locale” di ‘ndrangheta, avvalorando così la tesi alla base dell’inchiesta “Geenna” della Dda piemontese e dei Carabinieri del Reparto operativo, sono arrivate nel giorno cui tutti guardano per la scaramanzia, venerdì 17 luglio, che in realtà segna una ricorrenza nell’intreccio tra il crimine organizzato e la Valle.

Esattamente un anno fa, nella notte, sempre l’Arma, coordinata però dalla Dda di Reggio Calabria, entrava in azione per il “blitz” dell’operazione “Altanum”, anch’essa su infiltrazioni della malavita calabrese nella Regione (tre persone furono arrestate tra Aosta e dintorni, diciotto sono a processo). Al di là degli anniversari, il pronunciamento di oggi è di portata storica: su fatti legati alla mafia in questo lembo di nord-ovest c’erano state sentenze (quella del processo “Tempus Venit” è la prima a venire alla mente), ma per la prima volta si afferma giudiziariamente che la malavita calabrese fosse presente ai piedi dei quattro Quattromila in modo organico, con un’articolazione territoriale. Insomma, che la ‘ndrangheta avesse messo radici in Valle.

Le sentenze, com’è noto, non diventano definitive fino al terzo grado di giudizio e non sono pronunciate “in nome del popolo italiano” per essere commentate. Oltretutto, per la stessa vicenda, al Tribunale di Aosta sono a giudizio, con dibattimento ordinario (l’udienza torinese riguardava i riti abbreviati), altre cinque persone – accusate di essere “partecipi” della “locale” (Antonio Raso, Nicola Prettico ed Alessandro Giachino) o di avervi concorso esternamente (gli ex assessori comunali Marco Sorbara e Monica Carcea) – ed è vero che ogni giudice è sovrano e libero di determinarsi diversamente. A poche ore dal verdetto, tuttavia, si fatica a trattenere una sensazione.

È rappresentata dal fatto che, per la Valle d’Aosta e la sua gente, il difficile inizia adesso. Quello posto oggi a Torino è, agli occhi degli inquirenti, un (atteso quanto valido) “punto di partenza”. Restano infatti da definire il supplemento d’indagine su “Geenna” nei confronti dei politici Ego Perron e Valerio Lancerotto e l’inchiesta “Egomnia” sul condizionamento delle elezioni regionali 2018, dal destino letteralmente “appeso” all’esito dei processi di Torino ed Aosta (se non viene certificata l’esistenza di una “locale”, impossibile sostenere che abbia interferito in alcunché).

La prospettiva della Procura distrettuale è ovviamente quella ribadita dal suo rappresentante, il magistrato Dionigi Tibone, nell’imminenza della sentenza di questo terzo venerdì 17 dell’anno, giunta quando l’orologio segnava all’incirca le 15: “L’impianto accusatorio è stato sostanzialmente confermato”. Nell’italiano di chi ha ricevuto dalla Costituzione il compito di esercitare l’azione penale significa barra al centro e avanti a testa bassa negli altri procedimenti collegati, con l’obiettivo di ottenere lo stesso risultato, sospinti peraltro da ore ed ore di intercettazioni telefoniche, di appostamenti e di accertamenti dei militari del Nucleo Investigativo.  

Se le vicende giudiziarie hanno un perimetro ristretto ai fatti e alle persone coinvolte, la vita di un Paese si sviluppa tuttavia anche in altri ambiti, che alle aule di giustizia possono (anzi, devono) guardare per trarne indicazioni di etica ed opportunità. Ora, la politica, la società civile, l’associazionismo, il volontariato, l’imprenditoria della Valle (e l’elenco può venire completato da ognuno, a piacimento, con i settori di preferenza) sono pronti a realizzare l’accaduto, trarne una rinnovata consapevolezza e manifestare, in alcuni casi, indifferibili condotte di discontinuità, mentre, in altri, mantenere le distanze dal fenomeno? Tanto più che il periodo, con una doppia micidiale campagna elettorale all’orizzonte (Consiglio Valle e buona parte dei 74 Consigli comunali assieme), è decisamente sensibile e tale da richiedere trasparenza adamantina.

La domanda è dovuta perché, al di là di alcune (invero rare) eccezioni riconoscibili ad occhio nudo, l’attitudine manifestata in Valle nei confronti della presenza della ‘ndrangheta ha oscillato sinora tra il “negazionismo” più ortodosso (in cui non si è scherzato, in particolare, dalle parti di piazza Deffeyes) e lo spazzare la polvere sotto il tappeto (purtroppo, già più generalizzato, con picchi preoccupanti). Anche oggi, quando sono passate alcune ore dalle notizie giunte dal Palazzo di giustizia di Torino, non si registra la coda per reagire, esprimere un pensiero, riflettere a proposito, fosse anche in termini garantisti. Il silenzio, una musica suonata da sempre a queste latitudini.

Inutile dire come ciò non faccia onore. Se è comprensibile che, per molti, possa essere straniante sentir piazzare una “bandierina” di terra conquistata dalla ‘ndrangheta sulla terra in cui si vive e lavora, un aspetto è prevalente e va sottolineato. L’inchiesta “Geenna” è nata dall’ostinazione di un gruppo di Carabinieri, che hanno riletto atti d’inchieste del passato, raccolto come novelli Pollicino le briciole di pane trovate tra quelle righe (in particolare, delle operazioni “Veleno”, “Crimine” e “Lenzuolo”), affiancato quegli indizi ad altre circostanze (alle condanne di oggi si arriva partendo dalla ricerca di un latitante, non va dimenticato), seguito un “fil rouge” di nomi e volti che li ha portati dalla Valle alla Calabria e ritorno, per giungere a comporre il mosaico che ha restituito la “locale” aostana.

È verosimile che solo loro si siano accorti, negli anni (alcune delle investigazioni menzionate risalgono all’inizio dei duemila), di quei “pattern” d’infiltrazione, alcuni dei quali affatto da “addetti ai lavori”? È immaginabile che altri, per ragioni tra le più disparate (di base il “quieto vivere”, ma magari anche un ritorno personale, in termini, per fare un esempio a caso, di consenso elettorale) abbiano preferito non vedere? E’ fisiologico ed accettabile che il comune di Saint-Pierre sia stato sciolto ed il capoluogo regionale abbia visto comunque la Commissione d’accesso rilevare lacune e criticità?

Ognuno, in coscienza, ha una risposta a questi interrogativi, ma la Valle non cambierà, non potrà cambiare, su questo fronte, se non inizierà a far(se)li a voce alta. E a dare risposte diverse dalla retorica e dalla banalizzazione sentite sinora. Un cambio di registro basilare, a maggior ragione, ora che una sentenza attesta (per carità, provvisoriamente, perché di primo grado, ma è il pronunciamento ad oggi) che la ‘ndrangheta c’era e portava dalla Valle acqua al suo mulino di massima organizzazione criminale del mondo. Da adesso, appunto, inizia il difficile.

3 pensieri su “‘ndrangheta in Valle d’Aosta: il difficile comincia adesso

  1. Grazie x questo articolo. Questa sentenza, più di tutto il resto, è una pietra miliare per la nostra Regione. Sancisce la separazione fra un prima, in cui chi denunciava veniva tacciato di “disfattismo” o, comunque, di “esagerare”, e un dopo, in cui scopriamo la Valle d’Aosta come “terra di mafia”. Troppi hanno minimizzato e ora sono ammutoliti da questa sentenza. Ma il silenzio è troppo poco, così come il “l’avevo sempre detto”. Urgono nuove norme regionalicome la preferenza unica anche per le elezioni comunali, come il controllo sull’uso delle sostanze stupefacenti da parte degli amministratori pubblici, sui conflitti di interessi e sulla libera concorrenza negli appalti. Non ci si libera della mafia a parole e non si può
    demandare tutto alla magistratura. Dobbiamo riprendere in mano la nostra autonomia e usarla per liberarci da questo fardello. Altrimenti anche questa sentenza servirà solo per la campagna elettorale

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    • Luigi, grazie per il commento. Ritengo che, quando un pubblico decisore abbraccia il cammino del confronto, specie su temi del genere, stia assolvendo ad uno dei compiti insiti nel suo mandato. Detto questo, tengo a precisare che quando parlo di silenzio sulla sentenza di ieri, lo faccio per indicare l’attitudine che, nella media, ha accompagnato in Valle il fenomeno dell’infiltrazione. E’ chiaro che non è sufficiente dire qualcosa per affrontare il problema, specie se l’obiettivo (ovviamente non rivelato) è di dirlo al solo fine di catalizzare del consenso elettorale (peraltro, le vicende al centro di “Geenna” ed “Egomnia” dovrebbero aver mostrato i limiti del procacciamento esasperato di preferenze, ma non c’è peggior sordo…). E’ altrettanto chiaro che quando mi riferisco al “manifestare, in alcuni casi, indifferibili condotte di discontinuità, mentre, in altri, mantenere le distanze dal fenomeno” sono su un piano diverso da quello penale (che quindi è appannaggio di tutti, non esclusivo della magistratura) ed intendo atti concreti e tangibili. A quel punto, ognuno li deve calare e declinare nella realtà in cui opera. Per chi siede nella massima assise regionale, che non è sotto inchiesta e accusata in quanto tale (è giusto ricordarlo, perché l’Autonomia resta un istituto non indifferente e le responsabilità sono comunque individuali), significa, appunto, interventi legislativi. Quali? Non sta a me dirlo, perché io faccio, appunto, un altro mestiere. Però, ad occhio, quelli che partano dal presupposto che sui controlli endogeni abbiamo architetture istituzionali con ancora troppi punti deboli e quelli che possano ridurre, in ogni procedimento amministrativo, pericolose “zone d’ombra” viste nelle inchieste recenti. Riforme da attuare evitando di farne cavalli di battaglia elettorali (peraltro, si tratta di provvedimenti che, se attuati seriamente, non innalzano certo il consenso, anzi), tenendo a mente che la sentenza di Torino non è definitiva (e qui siamo sul piano squisitamente penale, che interessa chi ci si muove), ma anche che “prevenire è meglio che curare” vale per tutto, infiltrazioni della criminalità organizzata incluse.

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  2. Pingback: “Geenna”, storia dell’inchiesta iniziata dando la “Caccia grossa” ad un latitante | GiustiziAndO

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