Lettere di patronage, una storia valdostana

Se le “lettere di patronage” inviate dal Presidente della Regione a tre banche creditrici del Casinò, nella primavera del 2014, rappresentino un abuso d’ufficio continuato ed aggravato, o meno, lo stabiliranno i giudici della Corte d’Appello di Torino. E’ dinanzi ai loro che la Procura di Aosta ha impugnato l’assoluzione di Augusto Rollandin pronunciata dal Gup del Tribunale lo scorso 23 luglio.

Tuttavia, al di là del piano giudiziario (sul quale ci si potrà esprimere solo a sentenza definitiva), il fascicolo dell’inchiesta condotta, a tempi record, dal Gruppo Aosta della Guardia di finanza – le missive vengono rinvenute il 27 febbraio e il decreto di giudizio immediato è del 4 aprile di quest’anno – contiene testimonianze che consentono di ricostruire la vicenda, palesando dinamiche meritevoli di divenire note.

Le banche “bussano” alla porta

E’ il giugno 2013 quando, per gli istituti che offrono credito alla Casa da gioco, la situazione si fa tesa. Lo spiega al pm Luca Ceccanti un funzionario della Banca Passadore: “acquisimmo il bilancio del casinò, che già evidenziava una perdita consistente. Già nel 2013 quindi era chiaro che il cliente si trovava in difficoltà finanziarie”. Considerando che “’c’era un particolare affidamento”, si decise di “precostituirci ulteriori forme di tutela a supporto della linea di credito”.

L’ipotesi principale, ha ricordato un altro dipendente della Passadore, “era quella di ottenere una garanzia ipotecaria a fronte di nuove erogazioni di liquidità”. L’idea era che “noi avremmo finanziato per circa 7 milioni e la Banca Popolare di Sondrio per circa 13”. “Si trattava di un credito rilevante – ha fatto mettere a verbale il funzionario – e nelle more di ricevere una risposta sulle garanzie ipotecarie richiedemmo espressamente al Casinò una lettera di patronage”.

Anche la Bccv bussa alla porta di Saint-Vincent. “Chiesi a Frigerio (Luca, in quegli anni amministratore unico del Casinò, ndr.) – ha spiegato l’allora Direttore della banca agli inquirenti – quale tipo di garanzie potevano mettere sul tavolo e proposi alcune alternative che però non furono ritenute percorribili, ipoteche titoli o vincolo della giacenza”.Inoltre, “chiesi se fosse possibile una fidejussione da parte di Finaosta, ma Frigerio non fu disponibile”.

Il patronage prende forma

Il fatto è che, come testimoniato da un’allora dirigente della Casa da gioco, “venne esclusa la garanzia ipotecaria perché il Casinò non aveva la disponibilità di immobili e quindi non poteva darli a garanzia”. Tuttavia, “l’idea era di accontentare le banche e di rassicurarle”, perché “senza quelle lettere non se ne sarebbe usciti e quella di ottenere le lettere era quindi una scelta obbligata altrimenti il Casnò non avrebbe avuto il credito richiesto”.

Fu lo stesso au, stando all’ex direttore Bccv, “senza che io glielo proponessi”, a chiedere “se in relazione a quelle linee di credito sarebbe andata bene una lettre de patronage”. Al riguardo, il “numero uno” di Saint-Vincent, secondo la testimonianza del bancario, specificò che la missiva “poteva essere fatta da parte della Regione Valle d’Aosta” e aggiunse “che la stessa soluzione era stata proposta ad altre banche, senza dirmi quali”.

La “partita” a Palazzo regionale

All’interno della Casa da gioco – è nuovamente la già manager a deporre – “non ricordo se si parlò anche di chi avrebbe firmato le lettere, se ci sarebbe stata una delibera consiliare in Regione. Di queste cose si occupava Frigerio in quanto interlocutore della Regione”. E in piazza Deffeyes? E’ Peter Bieler, dirigente dell’Assessorato alle Finanze, a rivelare, sentito in via Ollietti, che una bozza di lettera gli fu “consegnata dattiloscritta dal presidente Augusto Rollandin”, senza però sapere “se l’avesse redatta al pc lui o altri”. Il Capo dell’Esecutivo – prosegue la testimonianza – “mi chiese una valutazione nel merito”.

Nella versione data al Coordinatore (poi sequestrata dalla Guardia di finanza sul suo pc) c’erano “due frasi che riportano il termine ‘impegno’”. Una volta “riferito all’assicurare che la società Casinò de la Vallée onorerà il debito” nei confronti delle banche e l’altra “si parla dell’impegno della Regione a comunicare eventuali modifiche della compagine sociale della società con un preavviso di 30 giorni”. Letto il testo, “risposi che così com’era la lettera non poteva essere firmata”, perché “sarebbe stato necessario ovviamente un accantonamento di bilancio da parte della Regione per l’impegno” che si assumeva rispetto al pagamento del dovuto da parte della Casinò spa.

Il seguito è tratteggiato direttamente dal pm Ceccanti nell’atto di appello. Lo stesso Rollandin “chiese a Bieler di preparare una versione delle lettere che, pur potendo rassicurare le banche in ordine alla garanzia del credito, – si legge – fosse in qualche modo edulclorata”. Il dirigente “non nega affatto di avere predisposto il contenuto definitivo” della missiva ed afferma di “non averla ricevuta in via ‘formale’, ‘ufficiale’, perché, se così fosse stato, avrebbe segnalato i profili di illegittimità”.

La pratica “invisibile”

Si arriva così all’invio alle banche, tra marzo e maggio 2014, del testo ottenuto dalle Fiamme gialle, all’inizio di quest’anno, negli uffici di piazza Deffeyes (identico per ogni destinatario, con la sola variazione dell’ammontare del credito). Ripercorrere la vicenda significa soprattutto porsi una domanda. Dinanzi alla maggior partecipata della “galassia regionale” in crisi, esposta per 19 milioni di euro nei confronti di tre istituti di credito, il Presidente della Regione – per quanto appare dagli atti dell’inchiesta – cosa fa?

La risposta sembra abbastanza chiara. Venuto a conoscenza del problema, che pur presenta implicazioni non indifferenti di carattere tecnico e civilistico, non investe l’Ufficio legale dell’amministrazione (il pm cita, a supporto di tale tesi, le dichiarazioni dell’allora capo del Dipartimento, Stefania Fanizzi) e, come un amministratore di condominio qualsiasi, chiede al Dirigente dei Servizi finanziari un parere “in via informale”, sottoponendogli (senza fornire spiegazioni in merito) una bozza già predisposta.

E gli organi istituzionali?

Negli ordini del giorno del Consiglio Valle, della vicenda non si trova traccia, sino all’ottobre 2014, quando il consigliere Elso Gerandin la rende oggetto di un’interpellanza (cui risponde l’allora assessore Ego Perron, sostenendo la legittimità della procedura). E la Giunta, di cui l’imputato del processo era a capo? Il pm, assieme al procuratore capo Paolo Fortuna, sceglie la via più diretta e convoca – come persone informate sui fatti – i componenti dell’Esecutivo in carica nel periodo.

Antonio Fosson, Mauro Baccega, Luca Bianchi, Aurelio Marguerettaz, Joël Farcoz, Marco Viérin e Renzo Testolin, alcuni ancora protagonisti della politica regionale, sfilano in Procura il 23 marzo scorso. Il risultato sono sette verbali praticamente identici, tanto che citarne uno vale per tutti: “In Giunta non avevamo mai parlato di quelle lettere, nessuno me le ha mai mostrate”. Alla domanda su come e quando fossero venuti a conoscenza dell’esistenza delle missive, gli assessori del tempo proseguono all’unisono: “solamente nell’ottobre 2014, quando Gerandin ha fatto l’interpellanza consiliare”.

E prima di allora? “Ribadisco che non ne avevo mai sentito parlare e non ne sapevo niente”. Ne ha mai interloquito o discusso con il presidente Rollandin? “Prima dell’ottobre 2014” no e “neanche dopo”, peraltro neppure con “altri assessori”. Gli inquirenti provano ad insistere, con l’interrogativo “ha mai condiviso con Rollandin la necessità che la Regione assumesse una garanzia per crediti di istituti bancari nei confronti del Casinò?”, ma la risposta è lapidaria: “no, nella maniera più assoluta”.

L’uomo solo al comando

Insomma, se tutti i testimoni hanno detto la verità (ed è difficile dubitarne, vista anche l’esistenza del reato di “false informazioni al pm”), la partita è stata giocata da Rollandin in splendida solitudine (“in gran segreto” scrive il Sostituto procuratore). Che nel disputarla abbia commesso un reato non è quanto emerso dal processo di primo grado (e si vedrà l’esito in Corte d’Appello), ma che i percorsi seguiti siano stati adeguati sia alla natura pubblica dell’amministrazione, sia al fatto che il Casinò risultasse destinatario di denaro della collettività (è partecipato al 99.9% da piazza Deffeyes), non appare evidente.

Rollandin è stato tacciato, nel tempo, di essere “uomo solo al Comando”, accusa sia dei suoi avversari politici, sia degli oppositori timidamente manifestatisi nell’Union Valdôtaine. Per alcuni, tra le fila “amiche”, quella rimostranza – va detto con onestà – è stata un comodo alibi (il dispotismo di “Guste” quale plausibile paravento dietro il quale nascondere l’assenza di risultati personali, restando con “les fesses” inchiodate ad un seggio in grado di garantire un magnanimo 27 ogni mese), ma la gestione (pressoché) individuale di questo dossier rappresenta una sconfitta, per tutti.

La condotta illogica

La politica è dialogo. Non condivisione ad ogni costo (lo scontro ne fa parte), ma confronto sì. Prima all’interno del proprio partito, poi nella coalizione di maggioranza. Quindi, l’amministrazione è la traduzione in atti degli input politici. Nel caso delle lettere di patronage, questa “catena” è stata sovvertita. Rollandin potrà obiettare di averlo fatto per “salvare” la Casa da gioco, trovandosi con l’acqua alla gola (in una comunicazione interna di una banca, l’assenza di garanzie si specchia nella richiesta di rientro). Essendo noto il carattere dell’“Imperatore”, dal punto di vista degli argomenti lo si potrebbe pure ritenere in buona fede.

Tuttavia, per una comunità di 120mila persone, che si vanta di un autogoverno iniziato nel secondo dopoguerra, non è una spiegazione accettabile. La responsabilità va assunta collegialmente dagli organi istituzionali e i procedimenti hanno flussi codificati. Anche se parlassimo di prerogative monocratiche (del Presidente, come sostenuto strenuamente da Perron), rientrerebbe comunque nell’ottica del miglior funzionamento dell’amministrazione – specie ponendosi la Casa da gioco centrale nel tessuto socio-economico locale – informare i livelli amministrativi adiacenti (la Giunta) delle opzioni esercitate.

Rollandin, hanno detto i suoi assessori di allora, non lo ha fatto. Ha scelto quel “ci penso io” che, dopo aver portato il Mouvement ai fasti della maggioranza assoluta in Consiglio Valle (nel 2003), lo ha reso oggi (con lui sospeso dal Consiglio e dall’Uv, perché condannato per corruzione in altro processo) tremendamente fragile. Ha scelto contro ogni prassi, ma soprattutto contro logica e, per il vertice politico-amministrativo della Regione, oltre che pubblico ufficiale, non può essere ritenuto naturale. Per questo, non può stupire che una Procura abbia voluto vederci chiaro. Per questo, anche se la sua responsabilità penale non è sancita ad oggi (e resta individuale), non si può andare orgogliosi di una pagina di storia del genere. Una storia valdostana.

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