
La scarcerazione, con contestuale concessione degli arresti domiciliari, al consigliere regionale sospeso Marco Sorbara (nella foto di http://www.aostasera.it), arrestato a gennaio nell’ambito dell’operazione Geenna, dà agio di riprendere in mano alcuni appunti di procedura penale, utili in realtà non solo in questo caso specifico.
Nel corso di un’inchiesta, se il pubblico ministero ritiene che la persona sottoposta ad indagini possa ripetere il reato per cui si procede, inquinare le prove (ad esempio, distruggendo documenti, o raggiungendo possibili testimoni per condizionarli), oppure fuggire, può richiederne una limitazione della libertà personale.
È la cosiddetta “misura cautelare”. Può andare dal carcere ad altre formule (vedi obbligo di dimora, o presentazione alla polizia giudiziaria), passando per gli arresti domiciliari. Sulla sua concessione, e sulla formula da applicare, si esprime – valutata l’istanza del pm – il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale. È un magistrato “terzo”, che non ha preso parte all’attività investigativa (così da non esserne condizionato, a garanzia dell’indagato).
Essendo strettamente connessa ad una (o più) delle tre esigenze indicate nel primo paragrafo, che possono mutare con l’evolvere dell’indagine (ad esempio, se la raccolta delle prove è conclusa, il loro inquinamento diventa impossibile), la modifica o la revoca della misura può essere richiesta dai legali dell’indagato. Se non vi è istanza, o se la misura viene confermata, ha comunque dei termini di scadenza, raggiunti i quali si esaurisce.
La logica di questo meccanismo è la salvaguardia dell’indagine e non si entra, in questa fase, nel merito delle responsabilità dell’indagato. Tuttavia, in un Paese in cui la tifoseria è modello culturale imperante, lo scattare, il perdurare o il concludersi di una misura cautelare arriva sovente ad assumere, nell’opinione pubblica, il valore di un giudizio di colpevolezza od assoluzione di colui che vi è sottoposto.
Non è così. Anche se, spesso, l’esecuzione delle misure (soprattutto quando si tratta di arresti) fa sì che un’indagine venga alla luce e che emergano i primi dettagli delle tesi inquirenti e quindi l’associazione mentale del provvedimento cautelare a queste ultime è difficile da evitare. Però, appunto, non è così. È bene ripeterselo. Per questo, come per altri casi. Le sentenze arrivano solo dai processi.
Pingback: Un considerevole deterrente | GiustiziAndO