Faites vos jeux

Se il fenomeno di quest’estate sono trombe d’aria e grandinate con chicchi come arance, la Valle d’Aosta, dopo un paio di scosse di terremoto in Valdigne di magnitudo fortunatamente tale da non arrecare danni, ne ha registrata questa settimana una ben più intensa, per quanto metaforica, perché di origine giudiziaria e non tellurica. L’errabondo cronista l’ha raccontata martedì scorso, 9 luglio, quando è emersa la notizia di una nuova inchiesta relativa al Casinò de la Vallée.

La Procura indaga per bancarotta fraudolenta, nei confronti – al momento – di sei rappresentanti della “governance” della Casa da gioco. Il fascicolo, aperto alla fine del 2018, è stato affidato dal procuratore capo Paolo Fortuna a due sostituti che, in un recente passato, le mani nell’eterogeneo impasto di Saint-Vincent non hanno avuto timori di infilarle (almeno) fino al gomito: Luca Ceccanti (firmatario dell’istanza fallimentare dell’azienda) ed Eugenia Menichetti (già titolare delle indagini penali sui 140 milioni di finanziamenti tra Regione e Casa da gioco).

Il fatto è che l’incrociare della cronaca giudiziaria, da parte del Casinò, è come l’addensarsi di nuove nuvole inquirenti sul capo di Augusto Rollandin: desta meno scalpore di un tempo, perché il susseguirsi di notizie che hanno riguardato l’uno e l’altro è stato pressoché continuo negli ultimi anni, “assuefacendo” la comunità. In realtà, questa inchiesta rischia di rappresentare uno “spartiacque” per la Valle. Per quanto se ne sappia poco ad oggi, perché avvolta dal massimo riserbo, merita riordinare alcuni appunti presi negli ultimi nove mesi e dirsi perché.

Cos’è la bancarotta fraudolenta?

Partiamo dall’ipotesi di reato, particolarmente grave nel nostro ordinamento. In Italia è disciplinata dalla legge fallimentare (articolo 216) e prevede che venga punito (con il carcere da 3 a 10 anni) – se dichiarato fallito – l’imprenditore che, tra le altre condotte, “ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti”.

Ora, provando ad applicare al Casinò il testo, un aspetto salta immediatamente agli occhi: la Casa da gioco non è fallita. Vero. Il fascicolo sta infatti procedendo sulla base di un’altra previsione della stessa norma, quella dell’articolo 238, che consente l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui “concorrano gravi motivi e già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione” fallimentare.

La seconda condizione è pienamente soddisfatta: la Procura, come già ricordato, ha chiesto al Tribunale, lo scorso 7 novembre, di pronunciare il fallimento dell’azienda di Saint-Vincent. Nell’istanza da lui sottoscritta compaiono gli elementi che – per il pm – rendono irreversibile la crisi della società e che, verosimilmente, incarnano anche (quantomeno in embrione, lasciando all’attività investigativa lo sviluppo) i “gravi motivi” alla base della prospettazione di bancarotta fraudolenta.

Fallimento, le ragioni dell’istanza

Sono molteplici e li si trova riepilogati nell’approfondimento dedicato, all’epoca, da Aostasera.it all’iniziativa dell’ufficio inquirente, le cui radici affondavano nella relazione con cui l’ultimo CdA ad aver “governato” il Casinò illustrava l’impossibilità di procedere alla gestione con percorsi aziendali ordinari (fatto che condusse “il ristrutturatore” Filippo Rolando alla guida di Saint-Vincent). Lo stesso terreno, invero fertile, che sembra aver germogliato il fascicolo scoperto questa settimana, dopo l’invio di una istanza di proroga dei termini agli indagati.

Rileggendo quel pezzo con in mente la fattispecie del reato contestato, in effetti, vari elementi assumono senso. Uno, citato nella declinazione della situazione d’insolvenza del Casinò, è “l’incapacità di soddisfare le ragioni creditorie dei fornitori a corto termine”, cui si aggiunge “l’incapacità della società ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (condizione che il CdA sancisce già dal 2017)”. Tornando ai dettami dell’articolo 216, difficile non riconoscervi un “pregiudizio ai creditori”.

Tuttavia, non basta ancora, perché per esserci bancarotta fraudolenta occorre affiancargli che l’imprenditore abbia appunto “esposto o riconosciuto passività inesistenti”, oppure “distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni”. Parole che fanno correre la mente alla parte dell’istanza fallimentare in cui il pm punta il dito contro l’assegnazione quasi continua di consulenze: nel solo biennio 2017/8 ne erano state attribuite per oltre 3 milioni di euro.

La pioggia d’incarichi

Siamo nel campo delle ipotesi e non delle risultanze investigative, è bene sottolinearlo, ma altrettanto significativo appare che la Procura non avesse celato perplessità, derivanti in particolare dall’oggetto degli incarichi, perché apparentemente svolgibili direttamente dal personale del Casinò. La richiesta di fallimento ricorda poi come, tutt’altro che indifferenti, fossero anche i contratti per servizi per la parte casa da gioco (per 5 milioni e 585mila euro) e per l’ambito alberghiero (2 milioni 717mila).

Tutti compiti che non potevano essere assolti con soluzioni endogene, senza ricorrere a soggetti esterni e a spendere quantità industriali di denaro della collettività (il Casinò è partecipato al 100% da due enti pubblici)? Non stupirebbe se tra gli accertamenti demandati al Gruppo Aosta della Guardia di finanza, incaricato delle investigazioni, vi fosse anche rispondere a questo interrogativo. E se l’esito fosse “si poteva fare diversamente”, allora la domanda successiva diventerebbe giocoforza:perché sono stati assegnati?” (e non si può escludere che qualche curiosità gli inquirenti abbiano provato a togliersela già in dicembre, quando numerosi “inquilini” di piazza Deffeyes sfilarono in via Ollietti, per essere sentiti sulla riunione riservata per il ricorso alla legge “Prodi bis”).

Difficile poi non rilevare come, proprio quella tendenza all’esternalizzazione, in particolare durante la gestione dell’ex au Di Matteo, destasse preoccupazione tra i politici valdostani che più si sono occupati di Casa da gioco. Intercettato dai Carabinieri nell’ottobre 2017, nell’indagine #CorruzioneVdA, l’“Imperatore” Augusto Rollandin intima al neo-assessore alle finanze Ego Perron: “avanti… vai avanti!… vai avanti!… e tutto… bisogna (incomprensibile)… Di Matteo eh?… avvisa anche Laurent eh… (presidente della Giunta da poco in carica al tempo, ndr.) scusa… qui succede di tutto”. L’interlocutore rassicura “…lo chiamo subito” e Rollandin aggiunge “…e deve stoppare tutt…(incomprensibile)… appalti… abbiamo già fatto sicurezza, appalti… tutto fuori!… tutto fuori!…”.

Prendi i soldi e scappa

La formulazione dell’articolo sulla bancarotta fraudolenta non lo menziona esplicitamente, ma il rovescio della medaglia del reato è nell’indebito beneficio per le figure chiamate a condurre l’azienda con la sola “bussola” di norme e leggi. Il piccolo-medio imprenditore dissipa, occulta e distrae normalmente per mettersi in saccoccia quei soldi, deviandoli dal cammino corretto (e spesso ne fanno le spese dipendenti, che smettono di essere pagati). Ma nel caso di un’impresa dalla strutturazione e della natura del Casinò, quale fine per l’eventuale condotta dissolutoria?

Sarà l’inchiesta a doverlo stabilire, ma quell’ipotesi delittuosa non può prescindere da patrimonio aziendale avviato lungo rotte che non avrebbero dovuto essere le sue. Su questo si arriva al perché le indagini in corso possano rivelarsi uno “spartiacque” per la Valle (con conseguenti picchi di fibrillazione già segnalati a Palazzo regionale). Le quote della Casinò de la Vallée sono al 99.9% della Regione, l’ente che ha riconosciuto alla sua partecipata finanziamenti importanti (appunto, 140 milioni di euro dal 2012 al 2015, già all’attenzione degli inquirenti e alla base sia di assoluzioni, sia della maxi condanna all’ex au Luca Frigerio) e ingenti trasferimenti recenti (12 milioni, a seguito della legge regionale 7 del 2017, su cui sollevò criticità la Sezione di controllo della Corte dei conti). Sono andati (tutti) dove dovevano andare?

I (mancati) dubbi di piazza Deffeyes

Una domanda che i valdostani hanno non solo il diritto, ma pure il dovere di fare. Anche perché in piazza Deffeyes non sembrano essersela posta al manifestarsi di un sintomo che avrebbe dovuto imporla: l’indagine a carico dell’au Rolando per omesso versamento di un milione 210mila euro di ritenute fiscali, nello scorso aprile. Il manager aveva assunto la carica pochi giorni prima della scadenza per la presentazione del modello 770 e l’obbligo verso l’Erario non risultava soddisfatto.

Per quale motivo quelle somme non erano state erogate prima? Forse perché non disponibili (quell’“incapacità della società ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni” nell’istanza fallimentare lo lascerebbe presupporre)? Nei panni di un consigliere regionale sarebbe stato interrogativo improcrastinabile, ma il comunicato stampa della maggioranza di quel giorno non andava oltre la “grande preoccupazione”, la “necessità di approfondimenti” (peraltro non esplicitati e, ad oggi, non noti negli esiti) e la tentazione sotterranea della revoca dell’au (accresciuta dal fatto che fosse stato nominato da una Giunta precedente, di diverso colore).

La “Disneyland” della politica

La Casa da gioco fino agli anni ottanta pagava, con i suoi introiti, gli stipendi dell’intero comparto pubblico regionale. Fasti quasi dimenticati da chiunque, cui è subentrato, negli ultimi tre lustri, un Casinò sempre più “Disneyland” per la politica. A parte un tentativo all’epoca della presidenza di Dino Viérin (siamo a fine anni ’90), non si ha memoria di assunzioni attraverso concorsi o procedure selettive pubbliche. Reclutamenti che diventa improbo, in una lettura nemmeno troppo teorica del fenomeno, scindere da un sentimento di riconoscenza elettorale del personale.

E come ogni parco giochi, specie quelli che non staccano troppi biglietti d’ingresso, per continuare a funzionare c’era bisogno di soldi. Tanti. Se venisse provato che in quel fiume di denaro della collettività dei rivoli abbiano esondato, perdendosi lungo gli argini (oltre ai 30 milioni che la Corte dei Conti già ha considerato danno erariale), non solo questa perversa dinamica auto-alimentante finirebbe con l’essere disvelata al mondo (da evidenze probatorie e non più soltanto dai “j’accuse” di opinionisti d’opposizione), ma la fraudolenza direbbe pure della trasformazione in commensale al banchetto pubblico di chi era ai vertici del Casinò, chiamato a salvaguardare trasparenza e correttezza.

Attenzione, però: sulla base dell’art. 238, la Procura può nel frattempo indagare, ma per perfezionare il reato (e quindi per contestarlo) servono o la dichiarazione di fallimento o – condizione equivalente – l’omologa di un concordato. Com’è noto, per ristrutturare i suoi conti, il Casinò ha scelto proprio quest’ultima strada. Il piano sottoposto ai creditori nell’adunanza di martedì scorso ha raggiunto sul finire della settimana il 50% più uno dei consensi (e la percentuale potrebbe salire ancora). Il prossimo passo è, appunto, l’omologa da parte del Tribunale. Se l’au Rolando sembra sempre più vicino a festeggiare un traguardo professionale, la Valle ha motivi ulteriori per auspicare tale epilogo.

In primis perché un asset economico rilevante continui a vivere ed operare (a condizioni sostenibili), poi perché – in un “effetto collaterale” che da tecnico evolverebbe in sociale – l’indagine della Procura possa culminare nell’accertamento di condotte che è inderogabile vengano esplorate, nel bene come nel male, in una logica di chiarezza definitiva. Per capire se quello che visto da fuori somiglia ormai troppo ad un vaso di Pandora lo è davvero, o non si va oltre una somiglianza, indotta dall’incapacità di una politica disattenta e distante dalla gente di fornire risposte convincenti ed efficaci. Dopodiché, comunque andrà a finire, per Saint-Vincent nulla potrà più essere come prima. Ma questo sarà un giro di roulette successivo.

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