Verdetti, sequestri e dintorni

Alcune settimane, per l’errabondo cronista, sono come il sistema solare: un giorno è al centro e gli altri, per quanto forieri di notizie, gli ruotano attorno. Quella che sta finendo è andata proprio così ed ha visto la stella madre in martedì 9. Nel primo pomeriggio, dopo una camera di consiglio durata più o meno quanto la celebrità nella nota teoria di Andy Warhol (anche se la paternità è controversa), Pasquale Longarini ha sentito pronunciare, dal Gup del Tribunale di Milano Guido Salvini, le parole che gli hanno fatto alzare le braccia al cielo in segno di vittoria: “assolto”.

La toga non sgualcita

Sui dettagli delle accuse per cui l’ex Procuratore capo facente funzione di Aosta è finito a processo, dopo essere stato arrestato nel vivo della Fiera di Sant’Orso 2017, non serve tornare ora. Avrà senso farlo non appena disponibili le motivazioni del verdetto. Chi “zoppicasse” sull’accaduto troverà tutto nel pezzo sulla sentenza di proscioglimento uscito su Aostasera.it – Il quotidiano on line della Valle d’Aosta. Con il suo carico di difficoltà e di logorio umano per i coinvolti, direttamente e “di riflesso” (come chi vive Palazzo di giustizia ogni giorno e ha condiviso passi di vita e lavoro con Longarini), la vicenda resterà a rappresentare uno “spartiacque” per la Valle ed è, per questo, doverosa una sua messa a fuoco il più nitida possibile.

Rimandando quindi, per l’analisi di merito, ai novanta giorni annunciati dal Gup per redigere la sentenza, tre aspetti generali vanno intanto sottolineati, anche (e soprattutto) perché fatti di quella materia in grado di alimentare la fiducia della comunità nella giustizia. Il primo è semplice: l’assoluzione di Longarini dalle ipotesi più infamanti per chi indossa una toga, cioè favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio, preserva da aloni offuscanti, ad oggi, il lavoro da lui svolto in Valle per decenni come pm.

Glory Days

Continuo a trovare emblematico della cifra dell’uomo il “pionierismo” nel “ficcare il naso” alla ricerca di reati in piazza Deffeyes, con indagini come quella che portò all’arresto nel 1993 del “big” indiscusso Augusto Rollandin, per uno scenario di contributi illegittimi a società di trasporti partecipate occultamente. La responsabilità dell’ex Presidente della Giunta per abuso d’ufficio venne affermata e, nel 1994, confermata dalla Cassazione.

Ventiquattro anni dopo, quando il politico autosospesosi dall’Union Valdôtaine è imputato in tre procedimenti diversi, oltre ad essere da poco stato condannato nel quarto, forse un richiamo del genere non desta gran sensazione, ma il clima sociale degli anni Novanta (con l’“Imperatore” a quota 12.614 preferenze individuali alle regionali del 1988 e 5.573 cinque anni dopo) non coagulava legioni di valdostani nel segno della questione morale e del ricambio della classe dirigente. Chi c’era se lo ricorda. Chi non l’ha vissuto provi a chiedere qualche ricordo di gioventù al professor Roberto Louvin.

Un pezzo di storia del Tribunale di Milano

Il secondo aspetto da evidenziare, tornando al processo celebrato all’ombra del Duomo, è l’esperienza di chi ha emesso il verdetto. Il Gup Guido Salvini ha mostrato equilibrio e capacità di sfuggire a condizionamenti, da parte di accusa e difesa, durante il processo. Lo ha fatto, ad esempio, quando non ha esitato a ricorrere alla facoltà di convocare un testimone, verosimilmente nell’ottica di chiarire dubbi che il fascicolo processuale gli lasciava ai fini della decisione che era chiamato ad assumere, o nell’udienza in cui ha circoscritto le acquisizioni documentali massive chieste dal pm Roberto Pellicano. Non è peraltro un caso che abbia manifestato qualità alte per un giudice: il suo curriculum spiega perché.

Entrato in magistratura all’inizio degli anni ’80, il giudice Salvini (prima istruttore, poi Gip) si è occupato degli “anni di piombo” (conducendo indagini su Prima Linea, Autonomia Operaia e Nar), ha riaperto l’inchiesta sulla strage di piazza Fontana, ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Abu Omar (nome al centro dello scandalo internazionale Telecom-Sismi) e ha avuto a che fare con le Nuove Brigate Rosse e, in una recente parentesi al Tribunale di Cremona, con il calcio scommesse. Se il processo Longarini era tutt’altro che semplice (giudicare un collega non lo è mai), che ad essersene occupato sia stato un magistrato provvisto della statura adeguata ha offerto una garanzia in più alle parti contrapposte.

Fuori dalla “Turris”

Infine, il tema più delicato, ma inevitabile. Pasquale Longarini è stato assolto: significa che i fatti addebitatigli non hanno trovato riscontro in ciò che è risultato dal processo, cioè non sono stati provati. Se i comportamenti dell’ex pm non hanno raggiunto rilievo penale, dall’inchiesta sono tuttavia emersi episodi – alcuni ammessi da lui stesso, come una vacanza pagatagli dall’imprenditore e dall’immobiliarista che lo hanno accompagnato – che per un inquirente, ancor più se in corsa per la scrivania più importante di una Procura, palesavano necessità di vaglio quantomeno disciplinare, ponendo un tema di opportunità (e, in merito, va ricordata la sospensione comminata dal Csm, prima di procedere alla riassegnazione come giudice civile a Imperia).

Lo sviluppo di legami con un territorio, o comunque con figure che detengono rilevanti interessi nello stesso (economici, ma non necessariamente), è un campo minato per un pubblico ministero. Implica infatti il pericolo di condizionamenti, o comunque di (auto)riduzione degli spazi di libertà nell’esercizio dell’azione affidatagli dalla Costituzione. Pericolo che sale vertiginosamente con il permanere a lavorare a lungo nello stesso contesto, perché il tempo non è marchiato “Black&Decker”, ma in fatto di levigazione (del carattere, degli istinti, delle aspettative) è utensile altrettanto efficace. Sia detto senza che suoni come un’offesa, perché è biologia, non dietrologia.

L’aumento dei rischi si fa poi esponenziale se il contesto in cui ci si trova per anni è come la Valle d’Aosta: piccolo – fatto di persone che, se non sono legate da vincoli parentali, ne hanno di professionali, o intrattengono rapporti patrimoniali – permeato da ingenti risorse economiche in rapporto al numero di abitanti e dalla pervasività pubblica marcata. La “Turris Eburnea” dipinta sin dal Cantico dei Cantici, luogo ove rinchiudersi in attività intellettuali slegate dagli affari pratici della vita di ogni giorno, si attaglia perfettamente al magistrato. E’ però pensabile che, in una società iperattiva come quella degli anni duemila, sia realmente possibile restarvi confinati, giacché si lavora in un Tribunale o in una Procura?

Diventa difficile concludere “sì, lo è”. D’altronde, è davvero sostenibile pretendere l’azzeramento della vita sociale, seppur a fronte di una remunerazione come quella riconosciuta ai togati? Interrogativi tali da affidare la responsabilità di ogni “uscita” dalle mura di avorio a chi la intraprende: non solo bisogna sapere dove si va e perché, ma soprattutto chi s’incontra fuori dalla Torre, o chi ci invita ad uscirne (aspetto ancora più sensibile). Pasquale Longarini è stato incauto, disattento, negligente, o peggio in malafede, su questo fronte? La risposta lui la conosce, ma chi gli è stato sinceramente vicino nei due anni, due mesi e venti giorni tra l’arresto in ufficio e la sentenza di Milano sa quanto il punto non sia marginale sullo scacchiere dell’accaduto.

Affrontare il tema obbliga, però, ad andare fino in fondo. I rischi del “mettere radici” in un luogo, per un servitore dello Stato, sono noti sin dal momento in cui avviene la sua nomina. Ecco che, fermi restando i principi di responsabilità individuale, proprio il suo datore di lavoro, cioè la Repubblica, potrebbe mettere in campo antidoti efficaci a scongiurare l’evenienza di “incrostazioni”. Per esempio sottoponendo determinate funzioni, squisitamente quelle inquirenti, a turn-over sostenuto, ogni quattro-cinque anni, prevedendo proroghe solo per indagini particolarmente complesse (e comunque non oltre il tempo indispensabile alla loro chiusura). Un cammino che lo Stato, come la stessa vicenda Longarini dimostra, non percorre, probabilmente per motivi di bilancio (gli spostamenti frequenti costano). Sbagliando.

Rocce Nere” sulle bianche distese

I giorni “satellite” della settimana hanno impegnato i cronisti soprattutto per due fatti. Giovedì 11 aprile, Carabinieri e Forestale hanno posto sotto sequestro il moderno bar “Rocce Nere”, a Plan Maison, sulle piste da sci di Cervinia. E’ un’evoluzione recente dell’inchiesta “Do Ut Des”, centrata su ipotesi di corruzione all’ombra della “Gran Becca”. La Procura, da quanto raccolto sinora, ritiene che lo stabile, frutto di un progetto recentemente realizzato, integri un abuso edilizio per almeno tre parametri (altezza, numero di piani e realizzazione di un nuovo corpo), concretizzatosi a seguito del “patto corruttivo” tra due dei sei indagati.

L’ordinanza del Gip che dispone il provvedimento (nel frattempo “rettificato”, su istanza dei gestori, per consentire il prosieguo dell’attività commerciale, ininfluente sul merito delle indagini) rivela buona parte delle conversazioni intercettate dai Carabinieri a suffragio della tesi d’accusa. Il resto delle indagini, di cui il pm Luca Ceccanti sta tirando le fila, dirà se c’è stato mercimonio di funzioni pubbliche a fronte di qualche utilità, così come se sono occorse violazioni delle norme urbanistiche.

Per ipotecare la convinzione in un modello di futuro, per la Valle d’Aosta, imperniato sulla sostenibilità e sulla coscienza di chi governa (ad ogni livello, anche locale) basta però l’ipotesi che l’abusivismo abbia aggredito un contesto ambientale del genere, caratterizzato da unicità e il cui sfruttamento commerciale non dovrebbe essere prioritario. Se fosse provato, sarebbe una sconfitta, oltre ad un illecito.

Tanti auguri, Polizia di Stato!

Il giorno prima, mercoledì 10, in Valle come nel resto d’Italia, la Polizia di Stato aveva celebrato il suo 167° anniversario dalla fondazione. Per i giornalisti, il “core business” della cerimonia è da sempre la divulgazione dei dati sull’attività della Questura negli ultimi dodici mesi. A guardare le tabelle consegnate, l’accento cade sull’aumento degli arresti alla frontiera (sostanzialmente ininfluenti sul tessuto sociale locale, perché commessi da persone in transito) e sulla diminuzione dei furti.

La circostanza riapre il sempiterno dibattito sulla differenza tra la sicurezza reale e quella percepita, perché delle due l’una: stimato stabile (se non crescente) l’interesse dei criminali per i reati contro il patrimonio, o il calo è l’evidenza di una minor propensione alla denuncia da parte dei cittadini sfibrati, o è il tangibile riverbero della maggior incisività delle forze dell’ordine sul tema. Molto probabilmente, come spesso accade, la verità è a metà strada tra le due ipotesi. In attesa di ricavare elementi utili a una lettura disinteressata, auguri a tutti coloro che indossano l’uniforme blu cremisi. Il sorriso del cittadino soddisfatto dall’aiuto ricevuto – e chi conosce un poliziotto lo sa – è ricompensa considerata superiore a qualsiasi primato statistico.

Per il resto, la richiesta di archiviazione del fascicolo aperto su un tragico episodio occorso a Cogne (per l’assenza di evidenti responsabilità, che negli eventi colposi, anche qualora presenti, individuate e fatte emergere, non rispondono comunque mai al dolore infinito di chi ha perso un figlio, o un congiunto), un processo nato dalla singolare evenienza dell’omessa dichiarazione al fisco di soldi certificati illeciti da una sentenza (si può pensare che lo Stato sia fondamentalmente gabelliere, ma restano una fonte di ricchezza), un giudizio immediato per fatti di violenza sessuale fissato nel giro di tre mesi circa dall’arresto dell’indagato (sono davvero pochi), nonché un maxi sequestro preventivo ad un medico aostano per un’ipotizzata elusione fiscale hanno completato la settimana della cronaca. Ora, però, è tempo di aprire le porte a quella nuova, tutta da raccontare.

Un pensiero su “Verdetti, sequestri e dintorni

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